© © 2023 - Carmine Montella, Baiano (Av). Senza l’autorizzazione scritta del titolare del copyright è vietato l’uso di testi, immagini e video del sito.

(Baiano, 13 novembre 1920 * Cosenza, 24 marzo 2009

 

Figlio di Stefano  e Carmela Sgambati.

Combattente e reduce della guerra d’Africa (1940 – 1945).

Agente tecnico di Pubblica Sicurezza, fotografo e operatore cinematografico della Scuola Superiore di Polizia Scientifica dal 1946 al 1966.

Il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat gli concede un’onorificenza per essere intervenuto, quando non era in servizio, in una casa avvolta dalle fiamme per salvare un uomo costretto sulla sedia a rotelle.

Il suo amore per il paese natio si evidenzia nel logo disegnato per la sua casa editrice, nel quale è riprodotto il Maio (simbolo del Natale baianese)  eretto davanti al Santuario di Santo Stefano.

 

Ha pubblicato come autore:

“La festa d’o Maio – Natale a Baiano”, Tipografia Sesti, Cosenza, 1979.

“Dove sono la tomba e il tesoro del 1° re dei Goti? Alarico”, Edizioni Vecchione, Grafica artistica meridionale, Nocera Superiore, dicembre 1989.

“Mattia Preti - Storia del Cavalier Calabrese”, Edizione Vecchione, Grafica Cosentina, Cosenza, 1999.

“Lezioni pratiche di coltura e consigli di prudenza per il giovane imprenditore agricolo calabrese”

“Qui è stato sepolto il 1° re dei Goti Alarico con il tesoro del sacco di Roma del 410 d.C.”, Edizioni Vecchione Vittorio, Mendicino (Cs), 2006.

 

Nella biografia presente nell’edizione 2006 di “Alarico” è scritto che erano di prossima pubblicazione:

“Le immagini della Calabria, Terra di tesori nascosti”, libro fotografico in cinque lingue.

“Il centro storico di Cosenza”, libro fotografico e descrittivo di 528 pagine in tre lingue.

“I ragazzi del brigadiere”, racconto autobiografico.

“Baiano. Le fotografie della mia memoria”

“L’arrivo del Papa Giovanni Paolo II a Cosenza Vecchia”

“L’ultimo viaggio della vaporiera Cosenza-Paola”

“L’orfanello dalle quattro mamme”, racconto autobiografico.

 

Ha pubblicato numerosissime opere come editore.

Ha allestito una fototeca sulla Calabria, per l’Assessorato al Turismo della Regione, di quattromila diapositive a colori.

In occasione della Settimana della cultura calabrese della edizione del 2010 a Camigliatello Silano (Cs) il 22 agosto fu organizzato l’evento “La Calabria e le sue bellezze”  in omaggio al maestro della fotografia Vittorio Vecchione con una mostra fotografica a tema  “Il mio sud”. Diede risonanza alla cerimonia di premiazione il maestro Cataldo Perri alla chitarra battente, musicista jonico di Cariati (Cs), uno dei più prestigiosi virtuosi di questo strumento della tradizione popolare calabrese.

***

Così Carmelina Grimaldi nella sua prefazione presenta il libro “La festa d’o Maio – Natale a Baiano”, che l’Autore dedica con “grande gioia” al “caro e adorato Vittorio” Vecchione, suo nipote, prematuramente scomparso per una disgrazia sul lavoro.

«Quest’opera, […] anche se non ha nulla da invidiare a quelle consimili, che si propongono di diffondere le bellezze paesaggistiche, si propone di divulgare usi e costumi, pregi e valori climatici di […] Baiano. […]

Non si tratta di sviscerato amore della terra natia che ha spinto l’egregio e benemerito Autore, anche se esso trapela dal compiacimento e dalle minuziose descrizioni dell’itinerario che offre al visitatore, ma di un senso di giustizia per tante davvero insolite attrattive di una zona trascurata dai cercatori dei luoghi più accoglienti per clima, per usi e costumi, per dovizia di prodotti di ogni specie e l’eccezionale bontà e la ospitalità degli abitanti, che raggiunge, specialmente in occasione della festa annuale detta del Maio, (il momento più intenso).

La descrizione minuta, precisa, ma non pedante dell’itinerario obbligatorio per chi gradisce andare alla scoperta di questo fiore di terra Campana, che non si affida a comune pubblicità per attirare turisti e visitatori, è un esempio insolito di un formidabile racconto descrittivo, che non soltanto non stanca il lettore, ma lo incatena e non gli consente di trascurare l’insieme sino all’ultima pagina, lasciando […] allettanti descrizioni di usi e costumi, sicché a volte si ha la sensazione di un senso Virgiliano della pittura dei luoghi e delle attività rurali che arricchiscono gli abitanti, felici delle loro opime terre esposte a un sole meraviglioso, nel clima temperato che la situazione tra monti e valli consente.

La narrazione descrittiva della storica tradizione della festa del Maio, in onore del Protomartire Santo Stefano, presenta particolari non comuni, nell’esplosione dell'entusiasmo popolare; represso per un anno intero e poiché incanta il lettore e lo travolge ad immedesimarsi nell'atmosfera dell'interminabile sagra e ciò per merito della descrizione affascinante e verista dell'Autore, il libro merita accoglimento nelle migliori biblioteche e offre degna rinomanza e sicuramente riconoscenza dal suo paese.»

 

Oltre a fotografarla, alla fine degli anni ’70 realizzò anche un filmato sulla festa del Maio di Baiano, facendo arrivare da Cosenza una squadra di esperti cineoperatori.

***

Di maggior prestigio e spessore culturale sono le due opere pubblicate nel 1989 e 2006 sulla tomba ed il tesoro di Alarico, il re dei Goti, morto nei pressi di Cosenza e sepolto con tutti gli onori nel letto del fiume Busento assieme al suo cavallo, alla sua armatura e al suo tesoro, secondo quanto si legge in uno scritto in latino del 552 d.C. dello storico  goto Giordanae, già vescovo di Crotone. Impreziosite dai dipinti degli artisti Diego Minuti e Fernando Masi,  sono tradotte in varie lingue per la loro diffusione oltreconfine. In particolare, la prima in tedesco, inglese, francese e spagnolo; la seconda in tedesco, inglese, francese e, sorprendentemente, in latino ad opera di Mons. Giuseppe Manzetti (Vaticano, Roma). A pag. 46 della prima edizione Vittorio Vecchione pubblica una sua poesia sul Re dei Goti, trascritta in calce a questa biografia.

 

Molti libri sono stati pubblicati su questo argomento, ma «tra i più famosi ricordiamo il libro “Il tesoro di Alarico” di Vittorio Vecchione», secondo quanto scrisse il 16 maggio 2013 sul Globo News.it  il giornalista Falco Brianzolo, il quale in un video a corredo dell’articolo afferma che il luogo della tomba di Alarico «potrebbe diventare emblema della nostra terra. Scoprire la tomba di Alarico sarebbe dirompente, un evento paragonabile se non superiore al ritrovamento dei Bronzi di Riace. Un’occasione che non possiamo permetterci di perdere». Per questo motivo elogia il nostro Autore che con i suoi studi e le sue pubblicazioni mantiene alto l’interesse sull’argomento.

Il giornalista Francesco Savastano nella prefazione alle due edizioni del libro “Alarico”  sottolinea il grande contributo di Vittorio Vecchione «teso a risolvere un grande mistero storico [… per] “ridare una degna tomba ad un guerriero i cui lamenti da troppi secoli s’immischiano al murmure melodioso del fiume Busento».

In particolare scrive: «La leggenda di Alarico  continua ad interessare appassionati e studiosi ai quali si aggiunge l’amico Vecchione, anch’egli preso dal “furore” del ricercatore che scruta, indaga, sfoglia testi antichi e, soprattutto, segue orme antiche coperte di muschio e di cemento. Il contributo di Vecchione merita grande rispetto e caloroso apprezzamento perché la sua è un’indagine originale, condotta, però, con rigore scientifico e conclusioni logico-deduttive che scoprono l’antico «mestiere» del poliziotto, abituato a vagliare i fatti, a comprenderli nella sequenza causa-effetto, per pervenire a deduzioni difficilmente confutabili.

Ma non dobbiamo sottovalutare anche la passione dell’uomo che si misura con il mistero alla ricerca della verità; […]; egli si è affidato alla fedele macchina fotografica con la quale ha scrutato gole ed anfratti ricavandone immagini suggestive delle vallate […]. Le sue teorie circa il posizionamento della tomba del re goto, partono da vari punti di angolazione; ripete il racconto orale della tradizione contadina, ma resta fedele alla visione scientifica che rinnova con preziose tecniche cartografiche e topografiche, pervenendo a meditazioni rivoluzionarie».

***

Fondamentale per la conoscenza dei tesori della Calabria, spesso ignara delle sue grandi potenzialità, è il volume “Mattia Preti – Storia del Cavalier Calabrese”, nel quale l’autore traccia una biografia di uno dei geni pittorici del Seicento italiano, considerato uno dei più importanti esponenti della pittura napoletana, nato il 25 febbraio 1613 a Taverna (in provincia di Catanzaro), dove in età avanzata invierà una ricca serie di opere, la cui bellezza merita ancora di essere approfondita e fatta conoscere, facendo così del suo paese nativo la più importante “pinacoteca” italiana delle sue opere.

Classificato dai suoi contemporanei “pittore maledetto” per la sua vita rocambolesca, Vecchione invece studia numerose fonti e biografie  e avanza «una ricostruzione più imparziale sulla vita del pittore calabrese, tentando, con convinzione e credibilità, di restituire agli studiosi un quadro più limpido, una biografia di Mattia Preti depurata dalle solite enfasi che contraddistinguono questo tipo di “vite”», come scrive nella Presentazione del libro Gianfrancesco Solferino, storico dell’arte di Catanzaro.

L’autore non nasconde il suo ambizioso sogno di una futuribile trasposizione sulla pellicola delle avventure del pittore. «Queste poche pagine che compongono appunto il libro su Mattia Preti […] le ho scritte con l’intenzione di spedire questa modesta pubblicazione a noti Registi e Produttori cinematografici italiani e stranieri e naturalmente alla Rai, con la speranza che qualcuno di queste persone o di questi Enti, leggendo la storia del Cavalier Calabrese, che offre moltissimo materiale per scene cinematografiche fortemente drammatiche, spettacolari e avventurose, possa farne un film sull’artista». (Prefazione, p. 17)

***

Al fine di avere una maggiore conoscenza  di Vittorio Vecchione, è bene leggere una intervista del 2007 sul “Quotidiano della Calabria”, nelle pagine “Campioni di Cosenza”, a cura di Gabriele Carchidi.

 

«Vittorio Vecchione oggi ha 87 anni e mezzo ma ha anche una vitalità al limite dell'incredibile. Guida la macchina con grande perizia, ha una memoria impressionante e tra qualche giorno presenterà, insieme al senatore Carlo Scognamiglio (economista, accademico, politico, presidente emerito del Senato), il suo ultimo libro su Alarico, il re dei Goti, ma non fa fatica ad affermare che il suo sogno nel cassetto rimane il romanzo autobiografico intitolato «I ragazzi del brigadiere». Una narrazione sugli anni più difficili per l’Italia, sulla guerra in Africa quando da cartografo e tiratore scelto della Divisione paracadutisti "Folgore" conobbe personalmente Erwin Rommel a El Alamein, sul dopoguerra passato con il mitra in mano e le bombe a mano alla cinta, sulle camionette della Pubblica Sicurezza tra Emilia e Lombardia, e gli anni Sessanta a Cosenza, in Calabria, la regione più povera d’Europa.

Che vuol dire «I ragazzi del brigadiere»? È presto detto. Vittorio Vecchione ha lavorato una vita con la polizia scientifica. Curava il cosiddetto «gabinetto» ovvero i lavori più delicati, quelli che avevano a che fare con le fotografie e gli altri rilievi scientifici sulle scene del crimine. Un impegno difficile ma anche pieno di soddisfazioni. È originario di Baiano, in provincia di Avellino, ma ha girovagato tra le varie questure d’Italia. Fino all’anno di grazia 1955. «Mi sono trasferito a Cosenza - ricorda -, ho conosciuto una bellissima insegnante, mia moglie Vittoria (N.d.A.: Vittoria Ippolito che sposò a Cosenza il 22 luglio 1956), sono nati i miei tre figli Stefano, Gaetano e Marisa e non me ne sono più andato. Il gabinetto di polizia scientifica di Cosenza era una storia esclusivamente mia, avrei dovuto fare un corso per prendere i gradi, ma non ho trovato mai il tempo e poi, sinceramente, dei gradi non mi importava assolutamente nulla. Era più importante la mia indipendenza nel lavoro e con i gradi l’avrei persa. La gente però doveva pure etichettarmi in qualche modo e così mi chiamavano brigadiere. No, a me non dava fastidio per niente, ma ai miei superiori invece si… mi dicevano Vecchione la devi smettere di farti chiamare brigadiere… e io rispondevo che non potevo farci niente, tanto ormai avrebbero continuato a chiamarmi così».

Il “brigadiere” però aveva anche un’altra passione, diversa dalla fotografia: il calcio.

«Giocavo in porta nella squadra del mio paese, Baiano», racconta. «Poi al ritorno dall’Africa al seguito degli inglesi, da militare ho giocato con la squadra dell’arsenale di Taranto nel girone unico nazionale, quando al Nord infuriava ancora la guerra, ma davanti a me c'era un “mostro sacro” come Leonardo Costagliola e cosi dovevo rassegnarmi a stare soltanto in panchina. Finita la guerra, a Nettuno ho fondato la squadra di calcio della Polizia scientifica e, naturalmente, questa volta ho giocato da portiere titolare». Un "brigadiere" con la passione del calcio.

Nel 1957 Vittorio Vecchione vive da un paio di anni a Cosenza e sogna di rientrare nel mondo del calcio, questa volta come talent scout. Così una volta si chiamavano i procuratori dei calciatori.

«Abitavo sotto il Castello normanno-svevo di Cosenza e quel grande simbolo dell'antichità mi ha sempre affascinato», ricorda ancora. «Mi rendevo conto che in città c'erano centinaia di ragazzi che giocavano molto bene al pallone, ma non venivano minimamente notati dalle squadre di calcio cosentine, e molti di loro versavano in condizioni di povertà quasi disperata, e ce n'erano tanti a Portapiana e in Piazza dei Valdesi. Tra questi c’era pure Gramoglia. Mi convinsi che era il momento di fare qualcosa di concreto per loro e fondai la società di calcio Castellana. Perché Castellana? Ma perché il Castello normanno-svevo di Cosenza è troppo bello e io volevo che rimanesse visibile nella mia nuova avventura».

Nasce così la favola dei “ragazzi del brigadiere”, i giovani calciatori tolti dalla strada per farli giocare allo Stadio del Cosenza, l’Emilio Morrone.

L’intervista spazia nelle pagine 7, 11, 14 e 15. In quest’ultima si parla di Rolando Gramoglia,  “Il pupillo di Vecchione”, nel quale Vittorio racconta di aver rinunciato alla sua quota di 4-5 milioni del cartellino del giocatore di proprietà della Castellana (N.d.A.: Una bella somma per quei tempi!), pur di farlo esordire in serie B col Cosenza. Il 20 gennaio 1963 giocò titolare contro il Palermo ed al 32° del secondo tempo fece esplodere lo stadio con una storica rete. «Dopo che il suo tiro ha gonfiato la rete – ricorda Vecchione -  Rolando sembrava impazzito: continuava a correre e schivava i suoi compagni di squadra che cercavano di abbracciarlo. Ho capito subito  che stava correndo da me. Una volta che li ha seminati definitivamente mi ha saltato addosso e mi ha buttato per terra. È finita che mi sono trovato tutta la squadra ad abbracciarmi. Un’emozione che non dimenticherò mai. »

 ***

 Per i suoi meriti sportivi gli fu conferita la benemerenza sportiva da parte dei vertici della Federazione Italiana Gioco Calcio Cosentina. Mentre il sindaco di Cosenza lo ricorda come grande «personalità dello sport della capitale dei bruzi».

 Qualche anno fa tutti i ministri e il presidente del Consiglio Mario Monti hanno espressamente richiesto per le loro personali librerie, per il tramite del presidente della Provincia di Cosenza, il suo volume sul re dei Goti Alarico.

 

 

La tomba di Alarico

 

Nascosta è nel Busento la sua vita

Posero la terra e i ciottoli sul suo corpo

Dopo inondarono  il corso delle  acque su di lui

E lì giace da millenni

E sempre resterà

In quell’umida  fossa

Finché mano archeologa

Non scoverà il suo eterno riposo.

Giace all’ombra di alte colline

Che dirupano a precipizio

Nelle acque cupe del torrente

Dove solo le capre e le pecorelle

Scendono gli scoscesi pendii

E vanno a dissetarsi

Ma il brillare delle stelle

Ed i raggi luminosi del sole

Filtrano tra le acque cupe

Illuminano il suo giovane viso

Le sue armature d’argento

La sua corona di Re

Il suo elmo alato

l suoi capelli d’oro

E tutt'intorno a lui

Risplendono mille luci

Di smeraldi, di perle e di rubini

Del tesero di Roma,

Ma il mormorio delle acque

Ora limpide e cristalline

Ora immobili e paludose

Ora rapide ed impetuose

trasmettono perennemente la sua triste invocazione:

«Vorrei riposare un giorno sotto il cielo della mia terra».