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Padre Antonio Vetrani

(Baiano, 13 giugno 1744 * 31 ottobre 1813) 

Ha scritto:

“Sebethi Vindiciae,…”, ex Typographia Paciana, Napoli, 1767.

“Lettera critica su gli elementi teologici dell’Abate D. Antonio Genovesi”, s.l., 1773.

“Animadversiones teologico-criticae in Universam Antonii Genuensis teologiam”, Napoli, 1775

“Il Prodromo Vesuviano”, Napoli, 1780.

“Vita del P.D. Pasquale Bianco” (andata perduta).

 

NacqueaBaiano il 13 giugno 1744 da Vetrani Andrea e Sgambati Lucia. (N.d.A: il 23 luglio secondo l’abate e storico Francescantonio Soria)

All’età di 11 anni, essendo dotato di intelligenza al di sopra della media e di grande fede cattolica, fu mandato a studiare nel prestigioso Collegio maggiore della Compagnia di Gesù a Napoli, in qualità di scolaro esterno, pur esistendo in territorio nolano istituti religiosi d’acclarata rinomanza, come il vicino seminario. Ma la scuola gesuita nel Settecento rappresentava il meglio dell’educazione occidentale ed i i genitori si spolparono non poco per mandarlo dai figli di Loyola, che impartivano un’istruzione estremamente rigorosa attraverso lo studio di tutte le discipline teoriche: Grammatica, Retorica, Storia,  Geografia, Latino,  Greco, Ebraico, Filosofia, Teologia, Eloquenza, Aritmetica, Geometria, Matematica, Fisica, Scienze fisiche e naturali e, soprattutto, l’Actio oratoria. In quella scuola acquisì una poderosa cultura classica, ma in seguito, contrario alla cosiddetta “eloquenza fiorita” ufficialmente raccomandata dalla chiesa, usò un’eloquenza stilisticamente più razionale, sobria ed asciutta, fatta di cose e non di sole parole

D’ingegno eminente e per il dominio che aveva delle scienze umane imperniate su un solido terreno umanistico, conosceva a memoria molti passi dell'Iliade, dell’Odissea, dell’Eneide e di classici latini, che spesso declamava per la gioia e l’ammirazione dei suoi ospiti (come racconta il teologo Michele Arcangelo Lupoli nel suo diario di viaggio “Iter Venusinum”, Simonios Editore, 1973); padroneggiava con molta perizia il latino e il greco; scriveva poesie e canzoni religiose; componeva musica; suonava il clavicembalo ed era dotato di una bella voce.

Poco dopo i 15 anni, non potendo completare gli studi a Napoli, in quanto l’ordine dei Gesuiti in quel periodo era stato sciolto, arrivò al Collegio dei Padri Missionari di San Pietro a Cesarano a Mugnano del Cardinale, vera culla di cultura e forgia di intelligenze non comuni, dove completò gli studi teologici. Qui, ordinato sacerdote alla fine del 1767, insegnerà teologia e verrà apprezzato da tutti per le sue doti e la rettitudine morale, oltre che per la sua cultura.

Si interessò di storia (in particolare quella di Avella), di geografia, di filosofia, di vulcanologia.

Nel 1767, all’età di ventitre anni, pubblicò a Napoli, presso l’ex Typographia Paciana, il “Sebethi Vindiciae, sive dissertatio de Sebethi antiquitate, nomine, fama, cultu, origine, prisca magnitudine, decremento, atque alveis, adversus Iacobum Martorellium”, un ponderoso saggio in latino col quale «il giovane autore, utilizzando un volume immane di conoscenze letterarie, storiografiche, mitologiche, filosofiche, geologiche, topografiche, scientifiche, linguistiche, filologiche, glottologiche d’ambito greco-latino ma anche ebraico, nonché competenze critiche e bibliografiche» (da Vincenzo Ammirati, “Antonio Vetrani, prete di san Pietro a Cesarano in Mugnano del Cardinale”, a cura dell’Associazione Culturale Istituto “A. Manzoni” San Pietro a Cesarano, Agosto 2015, p.34), illustrava l’importanza del Sebeto, antico fiume che un tempo attraversava la città di Napoli. L’opera, che termina con una bella Ecloga intitolata Sebethus, era considerata “profana” dallo stesso autore, perché di minore spessore rispetto alla gravezza della speculazione filosofica

Nel 1773, secondo una scoperta dello storico Pasquale Colucci (Antonio Vetrani - Materiali per una bio-bibliografia, grafica Elettronica, Napoli, 2013, p. 6), pubblicò il saggio “Lettera critica su gli elementi teologici dell’Abate D. Antonio Genovesi”, al fine di delegittimare sul piano teologico e morale il Genovesi e la sua scuola, colpendo così alle radici l’intero programma del riformismo meridionale.

Nel 1775, appena trentunenne, pubblicò il libro in latino le "Animadversiones teologico-criticae in Universam Antonii Genuensis teologiam", opera filosofica teologica poderosa, uscita a Napoli: una piccola Summa di risposte a diverse questioni teologiche ricorrenti a quei tempi, che egli definiva “abbagli” o “deliramenti” dell’intelletto riconducibili al pensiero illuministico, dai quali scaturivano il relativismo scientifico ed altri “divertenti deliri della fantasia”. In quest’opera rivendica la sua libertà di pensiero, pur essendo obbligato ai precetti della Chiesa: «Soltanto a Dio e alla Chiesa ho consacrato tutta la mia mente; per tutto il resto appartengo a me stesso» e, inoltre, afferma che «mi son confermato nell’opinione che non esista uomo che possa imporre paletti alla ragione». (ibidem, p.51) Ribadisce, inoltre, la sua convinzione della “reductio ad unicum”, la riduzione cioè del «complicato eppur armonico universo ad un unico ente unitario, per cui Dio è regista unico e uniforme di tutto, vale a dire che tutti gli esseri hanno in Dio la causa finale che ne giustifica, appaga e legittima l’esistenza». (ibidem pp. 68, 69)

Nel 1780 pubblicò a Napoli il “Il Prodromo Vesuviano, , in cui oltre al nome, origine, antichità, prima fermentazione, ed irruzione del Vesuvio, se n’esaminano tutti i Sistemi de’ Filosofi, se n’espone il parere degli antichi Cristiani, si propongono le cautele da usarsi in tempo degl’incendj, e si dà giudizio del valore di tutti gli Scrittori Vesuviani”, nel quale ribadisce la concezione creazionistica del mondo a fronte dello scientismo materialistico di stampo illuministico.

L’abate e storico Francescantonio Soria, in “Memorie storico-critiche degli scrittori napolitani”, tomo II, Stamperia Simoniana, Napoli, 1782, p. 640, parla del Vetrani come una delle menti più illustri del Regno delle due Sicilie, anche se –sembrerebbe- non ne avesse fatto uno studio approfondito delle sue opere.

«Il P. Vetrani scrive con vivacità ed erudizione. Ei combatte tutti i Sistemi de’ Filosofi sopra il Vesuvio; e vedendo inutili gli sforzi della Fisica a poterne spiegare le proprietà, e gli accidenti, si rivolge alla Teologia, ed inclina a credere, che i Vulcani sieno piccioli buchi dell’Inferno. Cosa molto edificante in verità, ma non so come possa piacere al secolo XVIII. Fa regnar questa opinione anche in alcuno degli acuti giudizj che forma degli Scrittori Vesuviani». Ci dà notizia che «Apprese in Napoli gli elementi della lingua latina da’ Gesuiti, ed entrato nella Congregazione di Preti Regolari, detta di S. Pietro a Cesarano, terminò ivi sotto il P. D. Pasquale Bianchi […] il filologico corso egualmente che quello della Filosofia, e della Teologia. Le sue religiose applicazioni non l’anno [sic] punto impedito dal prender parte nella più culta letteratura, come altresì nelle scientifiche cose; e ne son di chiara riprova le opere da lui date alla luce, commendate  assaissimo da’ Giornalisti letterarj, e da altri». (pp. 641-642) Aggiunge, inoltre, che: «le opere da lui date alla luce [furono] commentate assaissimo da’ Giornalisti letterarj, e da altri” e l’opera Animadversiones teologico-criticae in Universam Antonii Genuensis teologiam fu “libro lodato grandemente da’ Teologi, sopra tutto di Roma».(cit. p. 643) Dà inoltre notizia di altre due opere alle quali stava lavorando Padre Antonio Vetrani. Infatti scrive: «Speriamo, che la sua salute debilitata alquanto dalle fatiche letterarie, e da altre concernenti al sacro ministero, si convalidi interamente per ultimare le “Antichità di Avella”, ed il “Critico riassunto delle cose magiche”, a cui ha rivolto la sua applicazione”. (ibidem p. 643)

Ciononostante, dopo la pubblicazione del Prodromo Vesuviano egli avanzò nei confronti del Vetrani secco e perentorio sarcasmo rispetto all’espressione –che non aveva saputo intendere!- che il nostro aveva ripreso da altri autori che avevano definito i vulcani come “piccioli buchi dell’inferno”; una vera calunnia destinata non poco a pesare sulla sua futura sfortuna letteraria e sull’oblio al quale è stato rilegato fino ad oggi. Una evidente parzialità di giudizio che usava nei confronti degli autori suoi contemporanei. Per fortuna studiosi successivi hanno reso giustizia al suo valore, sottolineandone il vero spessore. Tra questi, in particolare, il prof. Vincenzo Ammirati, il quale nel suo testo citato riporta a pag. 154 l’irrisione dello stesso Vetrani nel Prodromo per confutare la teoria dei vulcani quali “piccioli buchi dell’inferno” in quanto essa era «credulità di femminucce… spauracchio di donnicciole… [una] pastocchia… con iscandalo de’ semplici, e de’ buoni… una femminile credulità».

Nel 1806 tenne la prima omelia in onore di Santa Filomena, dopo il suo arrivo a Mugnano, alla presenza del Vescovo di Nola Mons. Trabucco. Ovviamente fu scelto per la sua cultura e per la sua grande oratoria.

Dallo stesso Vescovo fu chiamato nel 1809 a dirigere il seminario di Nola, che viveva in quel periodo delle grandi difficoltà, ma che era considerato il migliore ateneo della Campania e dell’intero Sud. Da una sua lettera del tempo si legge che fu chiamato a ricoprire al seminario e al duomo gli incarichi «di Direttore degli Studj, di Bibliotecario, e di Catechista nel Duomo», che egli accettò con spirito di servizio ma a condizione di rimanere comunque nella Congregazione dei Preti Missionari di San Pietro a Cesarano, come riferisce Pasquale Colucci (op. cit. p. 36).

Dopo la parentesi nolana ritornò a San Pietro a Cesarano, dandone impulso ed onore con la sua opera e prendendosi di nuovo cura anche del museo, da lui “faticosamente creato ed incrementato, dove erano custoditi reperti dell’antichità” (Lupoli, op. cit.) raccolti per lo più nelle campagne dell’avellano-baianese e nell’agro nolano.

Morì a Baiano il 31 ottobre 1813 nel palazzo Vetrani e per sua volontà fu sepolto nella chiesa annessa al convitto, dove un suo nipote (figlio del fratello Giuseppe) don Alessio Vetrani, religioso e professore a San Pietro a Cesarano, nel 1825 gli dedicò una lapide ad imperitura memoria con la seguente epigrafe:


«heic clusus sacerdos antonius vetrani congregationis divi preti ad caesaranum - irreprehensus, poeta, festivus, elegans, morigeratus natura, valens, arte, excultus divino, afflatu, praeditus, littersa, a, sanetimania, non, aborrere, magnum, tibi, viator, documentum, obiit, ii, kal, novem, ann, rep, sal, mdcccxiii aetatis, suae, lxix.»

 

Nel 1985 la lapide esisteva ancora, ma andò distrutta, quando furono fatti i lavori di restauro. Per fortuna rifatta e riposizionata nel mese di ottobre 2012, grazie all’intervento del dr Angelo Michele Stingone (come questi ricorda nel suo libro “Le mie radici… Don Antonio Vetrani”, p. 28), il quale scrive di lui: «Potrebbe essere considerato un po’ stravagante, perché a volte con le sue idee non sembrava un vero religioso, traspariva nei suoi discorsi un certo materialismo che cozzava un po’ con la religiosità dell’abito che indossava; ma tutto si risolveva e si rischiarava non appena cominciava a parlare o a discutere di un argomento religioso. Le sue doti oratorie emergevano all’istante e ti appassionavano, ti attiravano e ti avvolgevano completamente». (op. cit.. p. 27)

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In forte e marcata contraddizione polemica con le correnti culturali dominanti nel suo tempo, mostrando ingegno e vasta erudizione classica, Padre Antonio Vetrani col piglio del gesuita partecipò attivamente alle disputazioni dell’epoca sui temi che maggiormente affascinavano gli intellettuali, uno dei quali «quello cioè di saper “quid est veritas?”, cosa sia mai la vera verità, dal momento che, dagli albori della storia umana, ogni religione, ogni sistema filosofico, ogni modello di vita politica son nati, cresciuti e tramontati sotto il santissimo vessillo d’una propria esclusiva verità», come scrive il prof. Vincenzo Ammirati (op. cit.. p. 6). «Nell’opera del dotto Sacerdote Baianese, tuttavia, certamente notevole per l’attenzione filologica, ben salda nell’impianto scientifico storico filosofico teologico, doviziosa di puntuale e variegata dottrina, attenta all’esegesi delle fonti, e naturalmente sorretta da assidui riferimenti tomistici, la verità di Scienza è tutta assorbita dalla verità di fede, ovvero la Sapienza che stilla dalla Sacra Scrittura; costantemente richiamata dalla Patrologia, da decisioni sinodali, da canoni conciliari e da confessioni di fede che avevano informato la Controriforma.[…] Nella sua opera che si ritenne acerrima rispetto al modus cogitandi dei tempi - parliamo delle Animadversiones – il Vetrani tornava spesso sul concetto di “onorata libertà” di pensiero, […] libertà che, tuttavia, rivendicava maggiormente a teologi e pensatori di parte cattolica che non a intellettuali […]. Tuttavia, ben valutando le cose, il tema pressante di fondo era appunto quello di tener separati su piani diversi, e ciascuno con la sua onorata libertà, Scienza e Sapienza» (op. cit. p.7)

 

La riduzione da me fatta del pensiero di padre Antonio Vetrani ad una breve sintesi finalizzata a questo lavoro ne mortifica l’importanza per l’ampiezza e la profondità delle sue riflessioni. Per un maggiore approfondimento rinvio il lettore allo studio dei testi dello storico Pasquale Colucci (op. cit.) e del prof. Vincenzo Ammirati (op. cit.) che rendono giustizia al valore di questo memorabile figlio di Baiano, che meriterebbe di trovare spazio nei libri di scuola ed essere studiato insieme a tutti gli altri autori che hanno reso grande la cultura italiana.

 

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Su iniziativa del dott. Michele Stingone, l'Amministrazione comunale di Baiano ha modificato il nome del "Vico Vetrano" in "Via Padre Antonio Vetrani".

Il 16 Dicembre 2012 (dopo un pubblico dibattito e la relazione dello storico prof. Giuseppe Ammirati nella sala del Consiglio comunale) è stata scoperta la lapide con la nuova intestazione della strada, con la benedizione del parroco don Fiorelmo Cennamo.


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