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(Baiano, 22 maggio 1860 – Avellino, 29 dicembre 1939)

 

Figlio di Benedetto e di Candela Maria Antonia, nacque nel palazzo distrutto dagli eventi sismici del 1980, oggi piazzetta Giovanni Napolitano in via dei SS. Apostoli. Nel 1892 sposò Maria Guerriero, dalla quale ebbe due figli: Benedetto ed Alfredo. Nel 1904, in seguito alla morte della moglie, si risposò con Paolina Napolitano di Sperone.

Fu autore di articoli di cultura  e di politica sul giornale liberale irpino “La Favilla”. Pubblicò, tra l’altro, “I privilegi della virtù” nel 1903 e “De Sanctis inedito” nel 1905. (dall’archivio di Silvino Foglia)

Il Professore Vincenzo Boccieri  è stato deputato  della XXV legislatura  del Regno d’Italia dal primo dicembre  1919 al 7 aprile 1921, quando Presidenti del Consiglio dei Ministri erano Francesco Saverio Nitti prima (dal 23 giugno 1919 al 15 giugno 1920) e Giovanni Giolitti dopo (dal 16 giugno 1920 al 7 aprile 1921).

Primo cittadino di Baiano eletto al Parlamento, a rappresentare la provincia di Avellino, fu un deputato molto attivo, come si evince dagli Atti parlamentari della Camera dei Deputati dell’epoca, che ho avuto la fortuna di consultare.

Nel breve periodo a Montecitorio, mentre era Re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia, presentò un progetto di legge molto importante [“Modificazioni agli articoli 10 e 57 della legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915, n. 148” e “Modificazioni all’art. 10 della legge sulle istituzioni pubbliche di beneficenza 17 luglio 1890, n. 6972”] e una sessantina di interrogazioni sia ai Presidenti del Consiglio dei Ministri in carica, sia ai vari Ministri del Governo, da quelli delle finanze e tesoro, della guerra, dell’interno, dei lavori pubblici, a quelli della giustizia e affari di culto, della marina, dell’industria e commercio, della pubblica istruzione, ecc., dimostrando di avere un’attenzione a trecentosessanta gradi verso i problemi della nazione, ma soprattutto del suo collegio.

Al centro delle sue battaglie c’erano moltissimi interessi: il  trasporto gratuito verso i paesi di origine dei soldati morti in guerra; l’istituzione dell’ufficio postale ad Avellino; il convogliamento delle residuali acque del fiume Sabato; le celebrazioni del centenario della rivoluzione di Monteforte Irpino del 1820; la concessione ai militari e ai mutilati di guerra delle sessioni speciali d’esame per il conseguimento del titolo di abilitazione all’insegnamento delle lingue straniere; l’aggiornamento delle tariffe di notifica per gli uscieri di conciliazione; l’aumento del numero dei battaglioni mobili di carabinieri per meglio tutelare l’ordine pubblico; l’abolizione dell’ora legale in considerazione del fatto che alcune classi di lavoratori non la rispettavano più; il cambio del dollaro da parte di alcune autorità a un prezzo superiore a quello ufficiale; il riconoscimento del diritto elettorale alle donne; l’estensione ai pensionati degli enti locali dei benefici concessi a quelli dello Stato; le locazioni dei fondi rustici; il progetto  della ferrovia Atripalda, Avellino, Lauro, Nola, Napoli; il disservizio della linea ferroviaria Napoli-Nola-Baiano; la mutilazione della circoscrizione finanziaria di Baiano, dopo 40 anni, con l’istituzione di una nuova agenzia delle imposte a San Martino Valle Caudina, e altri ancora.

Per capire in pieno con quale spirito affrontò il suo mandato di parlamentare e quale culto della libertà professava, trascrivo integralmente il suo intervento alla Camera del 2 Agosto 1920, con la Presidenza del Vicepresidente Squitti.

 

BOCCIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOCCIERI. Ho chiesto di parlare per un richiamo al regolamento. Non ero presente stamane quando, in fine di seduta, si ebbe una “boîte à surprise”.

PRESIDENTE. Onorevole Boccieri, in questa sede non posso concederle facoltà di parlare della seduta di stamane. Ne parlerà sul processo verbale che sarà letto nella prossima seduta antimeridiana.

BOCCIERI. Onorevole Presidente, debbo protestare con tutte le forze dell’animo mio contro la modificazione dell’ordine del giorno.  È già la seconda volta che ciò si verifica. L’ordine del giorno non è conforme a quello stabilito sabato sera dalla Camera. Ho professato sempre il culto della libertà, ho sempre saputo che il Parlamento è il Palladio delle istituzioni. Proclamo che non tollero il bavaglio e che l’arbitrio e la sopraffazione non sono degni del Parlamento italiano.

PRESIDENTE. Ma non è questo il luogo in cui ella può fare queste osservazioni!

BOCCIERI. Onorevole Presidente, se ella mi toglie la parola, mi appellerò alla Camera. Sabato sera fu stabilito l’ordine del giorno di oggi per quanto riguardava le interpellanze e fra le prime fu collocata quella da me presentata sui fatti di Montoro Inferiore, che oggi, invece, trovo tra  le ultime. Protesto indignato contro questa sopraffazione e contro questo arbitrio, e chiedo di poterla svolgere secondo l’ordine prestabilito sabato sera.

***

 

In occasione della Festa dell’Amicizia del 1980 organizzata a Baiano, il professore Francesco Sgambati, per far conoscere alle nuove generazioni la figura di questo illustre baianese, pubblicò sul numero unico “Noi DC” questa monografia dal titolo “Vincenzo Boccieri, deputato galantuomo”. La ripubblicò poi nell’opuscolo “Il movimento dei cattolici e le origini della D.C. nel Baianese”, “Quaderni di Notizie”, anno 2 n.1, gennaio – maggio 1982

«Nel cuore dell’800, mentre il giacobinismo dilagava in tutta l’Italia e combatteva le sue aspre lotte contro il nemico dominatore della nostra cara e bella Italia, considerata sempre “il giardino d’Europa”, per la conquista della tanta anelata libertà, nasceva in Baiano da famiglia civile, pregio allora solo di pochi in questa terra campana, un uomo che doveva dare gran lustro al suo paese: l’on. Vincenzo Boccieri.

La sua vita terrena albeggia in Baiano il 22 maggio 1860 e tramonta in Avellino il 29 dicembre 1939.

Educato all’amore di Dio e della Patria, don Vincenzo, giovanissimo, iniziò e portò a termine gli studi classici, conseguendo così la laurea in “Humanae Litterae” e, più tardi, anche quella in “Iurisprudentia”. Sicchè le “Humanae Litterae” unite a quelle della giurisprudenza gli resero facile cammino per la vita politica. Si iscrisse al Partito Popolare.

La sua facile e forbita parola gli fece conquistare la simpatia prima dei baianesi, che lo amavano e partecipavano a tutte le riunioni e ai comizi pubblici sempre affollatissimi, ma successivamente anche di tutta la provincia di Avellino e del Napoletano.

A distoglierlo, per breve tempo, però, dalla vita pubblica furono i bisogni familiari e gli impegni professionali.

Fu professore di lettere in vari licei pugliesi (N.d.A.: Nel 1882 venne nominato direttore del Liceo Classico di Taranto, ove profuse un lungo periodo di docenza. Notizia di Silvino Foglia) e, successivamente, in quelli della Trinacria infuocata (Sicilia), dove lasciò i segni della sua scienza fra i giovani di quelle terre. E, pur avendo profuso tra quelli i tesori della sua cultura e del suo grande cuore umano di uomo onesto e laborioso, tuttavia, volle cimentarsi in un campo più vasto e più aperto alle battaglie forensi e politiche: quindi si dedicò alla giurisprudenza.

Fu penalista valente, in quanto alla profonda conoscenza del codice penale univa anche quella letteraria che lo fecero oratore forbito ed ascoltato con passione in tutti i fori campani e di altre regioni.

La passione per la politica, però, non tardò a farsi presente e, quindi, da battagliero arguto e possente quale era, si lanciò nell’agone politico con tutto l’ardore giovanile e della sua foga oratoria.

Gli furono affidati vari incarichi pubblici ed in seguito gli fu affidata la direzione dell’Archivio di Stato di Avellino, incarico che tenne per un trentennio, facendosi rispettare ed amare nel contempo dai suoi dipendenti e dalle popolazioni, indistintamente.

Nell’immediato dopoguerra (1919) allorquando la nostra cara e bella Italia era minacciata da un vento gelido, proveniente da oriente, egli come un turbine si tuffò nella mischia, ponendo la propria candidatura per l’Assemblea di Montecitorio col partito di don Luigi Sturzo, di cui faceva parte.

E pur essendo stato tradito dai suoi più intimi amici, con i quali aveva diviso il sonno e per i quali aveva sempre messo a disposizione il suo grande cuore, tuttavia giunse al Parlamento italiano, tra l’entusiasmo, anzi il delirio dei suoi concittadini e comprovinciali. E fu ben presto notissimo anche là, dove si conquistò la fiducia e la stima dei suoi colleghi ed anche quella dei suoi avversari politici, per la sua poliedrica figura di galantuomo e letterato insieme.

Durante tutta la campagna elettorale, i suoi sostenitori, e ne furono assai, spuntati da ogni parte del nostro mandamento, gli facevano coro, cantando questa improvvisata canzonetta:

 

Mo ca ‘a marine ‘e Tripule è ‘a nosta,

n’ata Santa Lucia avimm’ ‘a fa.

Mo ca marine ‘e Tripule è ‘a nosta,

n’ata Santa Lucia avimm’ ‘a fa.

Nuje vulimmo ‘o Prufessore,

nuje vulimmo ‘o Prufessore,

chill’è nu simpaticone,

chill’è è nu simpaticone,

nuje ‘o vulimmo ô Parlamento,

nuje ‘o vulimmo ô Parlamento,

ce ‘o mannammo overamente,

ce ‘o mannammo certamente,

on Viciè, tu vinciarraje overamente.

 

E don Vincenzo veramente varcò la soglia del Parlamento italiano. Ma l’Assemblea di cui egli fece parte durò poco: appena 18 mesi, per l’avvento del regime fascista. Quindi il Professore dovette ritirarsi a casa a vita privata, curando l’educazione dei propri figliuoli ed elargendo ancora qualche favore ai suoi vecchi sostenitori e conoscenti.

Io ero un ragazzo allora, quasi un bambino, e spesso nelle lunghe sere d’inverno vicino al fuoco medioevale acceso in un grosso caminetto sentivo parlare del Professore Boccieri dai miei defunti genitori - anch’essi del partito di don Sturzo – come di qualcuno che possedesse qualcosa di ieratico.

In una di quelle rigide sere d’inverno, negli anni seguenti, diventato giovinetto, vicino al focolare acceso, mio padre parlando del Professore raccontò a noi figli – ne eravamo sei - un episodio che mi è rimasto indelebile in quella parte della mia mente dove sono riposte le cose più belle e più grandi, episodio che voglio qui ripetere.

Don Vincenzo, quando pose la candidatura per deputato al Parlamento italiano, suscitò le ire di molti e anche meraviglia fra i cosiddetti notabili del paese. Questa gente boriosa e impettita, ignorante qual era, tramò il tradimento alle spalle del loro benefattore. Finita la consultazione elettorale, quei messeri fecero girare per il paese la notizia che il Professore non era stato eletto deputato e che egli si era soltanto illuso, ponendo la sua candidatura. Ma quando furono verificate le schede elettorali votate, che davano la vittoria a don Vincenzo, la nuova si diffusa in un baleno in Baiano e nei paesi del mandamento; e così al suo arrivo in paese, i suoi sostenitori gli tributarono grandi manifestazioni d’affetto, portandolo a spalle per tutte le strade, cantando la canzonetta che ripetevano durante i comizi elettorali di don Vincenzo. Per l’occasione, diceva mio padre, il sempre geniale don Agostino Masi, farmacista, amico e sostenitore del Professore, compose una vignetta che Pasqualino Picciocchi – il beccaio detto “Sciuppilone” – cantava ogni momento e che ancora oggi si canta in occasione di vittoria elettorale, sul motivo della canzone “Palummella zomba e vola, int’ ‘e braccia ‘e Nenna mia”, che recita così:

 

Cumm’è stato, cumm’è iuto,

traditore, fauzo mio

e pe na sera a na matina

s’è saputa, s’è saputa ‘a verità.

Cu dulore dint’ ‘o core

Ca a la gente avite rate

Don Vincenzo è deputato

Per la nostra, per la nostra libertà.

 

Quando egli lasciò la vita terrena per quella dell’aldilà ed il suono funebre delle campane delle tre chiese di Baiano annunciò la sua dipartita in quel triste e grigio giorno di dicembre, sulla chiesa di Santo Stefano dove fu esposta la sua salma, giunta da Avellino,  una gran folla di popolo venuto da ogni parte rese omaggio al suo idolo scomparso, al suo benefattore di sempre.

Io ricordo che al passaggio della sua bara per le vie del corso di Baiano, sui marciapiedi, i vecchi amici suoi con le lacrime agli occhi e con grande riverenza s’inginocchiavano segnando sulla fronte il segno di croce.

Per chi non lo sapesse, egli dorme il sonno eterno della morte in una cripta appositamente fatta costruire dai suoi parenti nel cimitero di quella Baiano che egli aveva tanto amata.»

 

***

 

Un uomo come il  professore Vincenzo Boccieri non poteva passare inosservato agli occhi del nipote Can. Stefano Boccieri (che presentiamo in altra parte di questo nostro lavoro). Infatti, questi ne ricorda la figura nel quarto capitolo del suo libro “Briciole”, sottolineando che “scrisse e pubblicò monografie storiche  ed altro”, opere che non sono riuscito ancora a trovare e che potranno venir fuori da ulteriori ricerche.

 

Ecco il testo.

 

«Mentre l’anno tramontava, grigio e triste, egli si spegneva in Avellino, a 79 anni; e fu il suo tramonto grigio e triste, come quello dell’anno;  ma era stato promettente il suo mattino e luminoso il meriggio.

Nessuno, o quasi, dei quattromila baianesi, sapeva dello stato gravissimo del vecchio, ormai solitario, nella modestissima casetta di Avellino, e la nuova della sua morte si abbatté sui cuori, più fredda della neve caduta in quel tristissimo giorno:  Baiano pianse colui che era stato il suo idolo ed il suo orgoglio.

Il Professore! Era tale per antonomasia nella sua Baiano e nella Provincia. Chi non lo conosceva? Chi non lo amava?

Alto, ben fatto, simpaticissimo, con la caratteristica barbetta a punta, la fronte aperta ed il sorriso luminoso. Parlatore facile, abbondante, passionale;  aveva larga la mente, ma attingeva più spesso dal cuore, quel cuore grande ed a volte eccessivo, che doveva dargli tanti dolori.

Ma, se egli soffri per il cuore, per questo appunto s’adoperò, sempre, perché altri non soffrisse. Giovane e vecchio, anche lontano ormai dai giorni della sua potenza e dei suoi trionfi, anche tradito e dimenticato, egli si prodigò per amici e nemici, felice se poteva rendere felice qualcuno.

Non, certo, per i baianesi ed i comprovinciali, io, baianese e nipote dell’estinto, scrivo di lui; ma per chi non lo sappia e perché qualche cosa resti dell’affetto per cui piango e scrivo.

Nasceva egli a Baiano, nel ‘60, da genitori civili, quando ancora la civiltà era il privilegio di pochi in questa terra campana. Nasceva con l'Italia nuova, unita ormai in Regno, e tesa verso il nuovo destino. Ingegno precoce, cercò avidamente il sapere, a scuola ed in piazza, e lo ritenne nella memoria prodigiosa. A poco più di venti anni, era già professore e pronto alle fatiche ed alle battaglie letterarie e politiche.

Il suo temperamento pugnace lo cacciò presto nella mischia, specialmente politica, qualche volta degradante nelle scaramucce locali.

Ma egli era cosi giovane! e, come l'Italia di allora, correva al destino con i vantaggi ed i difetti della gioventù. A distoglierlo dalle lotte politiche, vennero i doveri professionali, per cui si trattenne due anni nelle Puglie e quattro in Sicilia, insegnò poi nella Campania. Fu direttore di Istituto, quando altri della sua età sedeva ancora ai banchi della scuola. Giovane tra i giovani, egli prodigò loro la ricchezza e, più ancora, il tesoro del suo cuore.

Ma la scuola non poté contenere a lungo la sua ardente esuberanza. Egli volle, un campo più vasto ed aperto alle battaglie, e fu avvocato penale valentissimo, perché alla conoscenza del Codice univa la cultura letteraria e la vibrante umanità della parola.

La politica però, la sua vecchia passione, soverchiando le altre, doveva riprenderlo. Pertanto, egli non fu né professore, né avvocato, almeno quanto lui poteva esserlo.

Gli vennero affidati diversi incarichi pubblici e, nel 1903, la direzione dell’Archivio di Stato di Avellino, che tenne per trent’anni.

Sempre povero, perché disinteressato, non cessò mai dalla lotta contro le camerille (N.d.A.: persone che esercitano a proprio vantaggio un potere) ed il mal costume delle varie democrazie, negli anni che precedettero la grande guerra. Quando questa fu combattuta e vinta, egli poneva la candidatura politica per opporsi alla torbida marea socialista, minacciante l’Italia.

E giunse al Parlamento, tra l’entusiasmo, anzi il delirio, dei suoi concittadini e della intera Provincia irpina. Fu, ben presto, notissimo anche colà, ed amato da eminenti colleghi per lo spirito arguto e la simpatica espansività, tutta meridionale.

Parlò, fece, si agitò per tutte le cause buone, o che tali gli parvero; ma specialmente per la sua Provincia e per quanti ricorsero a lui.

E quanto avrebbe fatto per la sua Provincia e per il paese nativo! Ma l’assemblea a cui egli appartenne fu sciolta dopo soli diciotto mesi, ed il singolare sistema elettivo, inaugurato nel 1921, gli impedì di ritornare al Parlamento. La vecchia Camera si approssimava alla fine.

Vi fu lutto a Baiano, e lutto nella Provincia, che non aveva tradito il  suo autentico rappresentante.

Il Prof. Boccieri conservava, a sessant’anni, l’animo e le energie giovanili, ed avrebbe ancora combattuto e vinto; ma un colpo gravissimo doveva spezzare la fibra morale del vecchio lottatore: la morte della seconda moglie, la sua adorata Paolina. Con lei, ed anche un po’ per lei, egli era giunto al Parlamento, e la sua dipartita segnò l’ora del declino. Lento ed irreparabile declino, a cui egli assistette con coscienza spaventosamente lucida, ma ormai impotente a reagire.

Il suo cuore, come la sua casetta di Avellino, fu ancora aperto a tutti, ancora egli si diffuse con gli amici in palpitanti ricordi, ancora scrisse e pubblicò monografie storiche ed altro, briciole di un ingegno che, non distratto dalla politica, avrebbe raggiunto la gloria letteraria; ma non fu più che l’ombra del Prof. Boccieri.

Intorno a lui si restrinse sempre più la cerchia delle vecchie amicizie e degli affetti, fino ad isolarlo.

A poco a poco, le voci del mondo gli giunsero sempre più fievoli, finché non gli giunsero più, divenne sordo! E la sua agonia cominciò, tanto più penosa perché consapevole. E durò tre anni; poi, egli trovò la pace nella misericordia immensa di Colui in cui sempre credette.»