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Scuola di periferia, classe prima.
Sulle pareti  i cartelloni di un vecchio alfabetiere.

MAESTRO: Ragazzi, vogliamo leggere i cartelloni?
ALUNNI: Sì, maestro.
MAESTRO: Bene!... (Guarda gli alunni.)  Giovanni, vieni tu.
(Giovanni si alza sorridente e si avvicina al maestro, il quale gli indica la lettera <> sul cartellone dell’ ape.)
GIOVANNI: (Sicuro di sé) <>.
MAESTRO: No, Giovanni, hai sbagliato. Guarda meglio.
GIOVANNI: (Più sicuro di prima) <>.
(Il maestro lo guarda perplesso e proprio non riesce a capire il perché di quella <>.)
MAESTRO: (Gli indica il nome.) Leggi cosa c’è scritto.
GIOVANNI: SCA-RA-FO-NE.
MAESTRO: (Trattenendo una risata ripete) Scarafone?!...Nooo!   
E’ un’ape.
GIOVANNI: Eppure mi sembra uno “scarafone”!
MAESTRO: Eppure è proprio un’ape.
GIOVANNI: Oooooooh! (Poi rassegnato) “Ape”!
(Il maestro, poi gli mostra il cartellone del fiore: un fiore rosso.)
GIOVANNI: <

>... PA-PA-GNO.
MAESTRO: Nooo, non è un papavero...
GIOVANNI: (Pronto) <>... SCIO-RO.
MAESTRO: Beh, tutto sommato, possiamo anche dire che hai    
risposto bene, perché è un <>. (Giovanni sorride.)   
Però  <> è il nome dialettale. Noi lo dobbiamo   
imparare in italiano.
GIOVANNI: Maestro, tutti lo chiamano <>!
MAESTRO: Lo so, perché c’è la pessima abitudine di parlare
sempre in dialetto... Su, ti aiuto io!... Comincia con <>.
(Giovanni storce il muso e tace, allora il maestro gli dà un
ulteriore aiuto.)  <>...
GIOVANNI: (Preso da uno stato di ansia, butta fuori il primo
nome che gli viene.) <>
(Tutti gli alunni ridono a crepapelle, mentre Giovanni si
mortifica e  abbassa la testa.)
MAESTRO: Ragazzi, non sta bene ridere, quando un compagno
sbaglia!  (Rivolto all'alunno) Giovanni, <>
GIOVANNI: <>, <>!
MAESTRO: (Per incoraggiarlo) Bravo! (Giovanni sorride
contento. Il  maestro ora gli indica il cartellone
dell’<>).
GIOVANNI: <> (Pronuncia: “C” gutturale. Il maestro
storce il muso.) <>.
MAESTRO: Sì... è un “cappello”.. però ha un altro nome.
GIOVANNI: (Pronto) <>!
MAESTRO: No, Giovanni. Non si chiama “berretto”... Il nome
comincia con ""E"".
GIOVANNI: <>, <>, il <>!
(Tutti a ridere e Giovanni se ne scappa a posto e si mette a
singhiozzare con la testa sul banco.)
MAESTRO: (Si avvicina a Giovanni.) Su, non piangere!
(Lo accarezza, ma Giovanni respinge la mano del maestro. Si rivolge agli alunni.) Quante volte vi ho detto che non dovete ridere... Ecco il risultato... Clara, vieni tu.
CLARA: (Si avvicina ai cartelloni con passo sicuro e legge  ad alta
voce quelli sbagliati da Giovanni.)     <> di Ape!...
<> di Fiore!... <> di Elmo!
MAESTRO: Brava! Brava! Vai a posto... Venga... venga...
Beatrice! (Non si alza nessuno! Tocca allora con la bacchetta
l’alunna.) Beatrice, dico a te!
BEATRICE: Io non mi chiamo così. Io mi chiamo Cicella!
MAESTRO: (Perplesso) Cicella?! (Si gira e ride.) Ma il tuo nome è
Beatrice!
BEATRICE: (Insistendo) Mammella mi chiama Cicella!
MAESTRO: (Tra sé: “Mammella mi chiama Micella!… Fa pure rima!) Leggi qua! (Le indica la <> sul cartellone del <>.)
BEATRICE: <> di MICILLO.
MAESTRO: (Con molta pazienza) Si legge <>... <> di
Gatto.
BEATRICE: Mammella lo chiama “Micillo”.
MAESTRO: E invece si chiama “Gatto” e questa lettera è la
<>. (Poi le indica il cartellone dell’Oca.)
BEATRICE: <

>... PA-PE-RA.
MAESTRO: In italiano si chiama “Oca”.
BEATRICE: In Italia!... Noi invece la chiamiamo <>.
MAESTRO: Su ripeti con me: O-CA... <>!
BEATRICE: (Ripete)  O-CA...  <>.  Uh quant’è brutta!  E’
più bella PA-PE-RA... <

>.
MAESTRO: Invece si dice proprio O-CA! (Poi le indica il
cartellone del Topo.)
BEATRICE: <>...SO-RI-CE!
MAESTRO: (Un po’ arrabbiato) Ma quale SO-RI-CE e sorice?!
BEATRICE: (Con un fil di voce) Veramente Rafiluccio la chiama
“ZOCCOLELLA”.
MAESTRO: Rafiluccio?!... E chi è?
BEATRICE: Rafiluccio!!!
MAESTRO: Si, ho capito!... Ma voglio sapere chi è Rafiluccio?
BEATRICE: E’ il mio fratello piccolo.
MAESTRO: (Incuriosito) E come la chiama Rafiluccio?!
BEATRICE: (Candidamente) “ZOCCOLELLA”!
MAESTRO: (Trattiene a stento una risata.) Mi dispiace proprio
per te e per Rafiluccio, ma quel coso si chiama “TO-PO” e
questa lettera è la <>.
BEATRICE: Ma perché  si chiama “TO-PO” se tutti lo chiamano
“sorice”?
MAESTRO: Perché “sorice” è il nome che usate in dialetto. Ora
vai a sederti e chiamiamo un altro. (Guarda gli alunni.)
Antonio, vieni a leggere tu! (e gli indica il cartellone della
“Rana”.)
ANTONIO: <> (Il maestro fa una strana smorfia. Antonio
ripete.) <>... MA-RA-VUO-TTO-LO!
MAESTRO: (Sorpreso) E che bestia è?
ANTONIO: Il MARAVUOTTOLO!
MAESTRO: (Prova a ripetere poco convinto.)   Il
MARA...VUOTTOLO!  Non lo conosco proprio!
ANTONIO: Perché non andate mai a giocare nel “lagno”...Il
lagno vicino a casa mia è pieno di “maravuottoli". Dopo
pranzo non mi fanno dormire... mi stonano le orecchie:
cra...cra... cra... a ore intere.
MAESTRO: Ah! Ora capisco. Il “maravuottolo” è la rana!
ANTONIO: No, maestro. E’ il “maravuottolo”!
MAESTRO: Sì, ho capito!... Però si chiama “rana”!
ANTONIO: Maestro, perché cambiate il nome a tutti i nomi?...
La papera la chiamate “oca”, il sorice lo chiamate “topo”...
e pure al “maravuottolo” cambiate il nome?
MAESTRO: Ma volete capire che i nomi che usate voi sono
dialettali? Io vi devo insegnare i nomi in italiano, come
stanno scritti sui cartelloni... Questa è  la “rana” e questa
lettera è la <>. Forza  ripeti con me: “RA-NA”...
<>.
ANTONIO: (Poco convinto) “RA-NA”... <>. (A bassa  
voce) Sarà la mogliera del “maravuottolo”! (Il maestro gli
indica il cartellone della pesca”)
ANTONIO: <

>...
MAESTRO: Bravo! Ah!... Ora leggi il nome!
ANTONIO: <>.
MAESTRO: Percuoco?!
ANTONIO: Veramente somiglia più ad una “persichina”. Mica è
una  “persichina”, maestro?
MAESTRO: Non è una “persichina” e non è neppure un
“percuoco”!.. E’ una “pesca”.
ANTONIO: (Sicuro di sé) No, maestro.  La pesca si fa al
“sciummo”. Mio zio mi porta sempre a pesca. Questo è un
“percuoco”. Pure papà lo chiama così... Lo volete sapere
meglio di papà che fa il cafone?
MAESTRO: Il cafone?!... E cos’è?
ANTONIO: Il cafone!
MAESTRO: E chi è?... Cosa fa il cafone?
ANTONIO: Fa il cafone!
MAESTRO: Ho capito!... Voglio sapere quale lavoro fa il cafone.
ANTONIO: Lavora nei campi.
MAESTRO: Allora non si dice “cafone”, ma “agricoltore”.
ANTONIO: Maestro, chi vi ha insegnato tutte queste parole? Voi
parlate  come mia cugina che sta a Torino... Noi mica
dobbiamo andare a Torino che dobbiamo imparare a parlare
come si parla a Torino!
MAESTRO: (Per farla breve) Antonio, ho capito. Vai a posta,
vai!... (Guarda gli alunni.) Stefano, vieni tu! (Gli indica il
cartellone della “Bocca”.)
STEFANO: “VO-CCA”...<>
MAESTRO: (Scuote la testa.) “Vocca” eh?
(A questo punto, persa ogni speranza, decide di far leggere i
cartelloni  all’intera scolaresca senza intervenire più per
correggere il dialetto. Ogni volta scuote la testa e ripete i
nomi come vengono letti dagli alunni. Indica il cartellone di
“Sedia”.)
ALUNNI: (In coro) “SE-GGIA”... <>
(Il maestro indica il cartellone di “Uovo”.)
ALUNNI: “CO-CCO”... <>.
(Il maestro indica il cartellone di “Lancia”)
ALUNNI: “FRE-CCIA”... <>.
(Il maestro indica il cartellone di “Dito”)
ALUNNI: “RI-TO”... <>.
(Il maestro indica il cartellone di “Chiesa”.)
ALUNNI: “CA-PPE-LLA”... <>.
(Il maestro indica il cartellone di “Gnomo”.)
ALUNNI: “NA-NE-TTO”... <>.
MAESTRO: (Con le mani nei capelli) Basta!... Basta! Lasciamo
perdere!
ALUNNI: Maestro, abbiamo letto bene?
MAESTRO: Meglio di così proprio non si può!!!... Ora
leggiamo un po’ sul libro di lettura... (lo sfoglia)... ecco: a
pagina 42, <>. Leggiamo
prima i nomi sotto i disegni.
ALUNNI: (In coro, mentre cala il sipario) Co-co-zza,... ci-tru-
llo,... cu-cu-zzie- llo,... pu-mma-ro-la,...pu-rtu-va-llo,... ca-vo-
li-scio-re,...