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Quel pomeriggio, dopo pranzo, Alberto uscì di casa deciso a spiare l'uomo dalla lunga barba che viveva nei ruderi della vecchia chiesa.
Arrivò sulla collina col fiato grosso e cercò subito un nascondiglio per l'appostamento. Salì su un ulivo secolare e trovò una comoda sistemazione in mezzo ai robusti rami, da dove poteva osservare senza essere visto.
Il sole di Agosto picchiava forte ed il sudore gli grondava dalla fronte, solcandogli il viso fino al mento. Ogni tanto se ne liberava con il palmo della mano,  che asciugava poi sulla canottiera bianca, lasciandovi il segno delle dita sporche di polvere.    
Lo stridìo assordante delle cicale era rotto dal campanaccio d’una mucca al pascolo.Il barbone
L'attesa non fu lunga. L'uomo arrivò dal sentiero alla sua destra con passo lento, seguito dal suo inseparabile mastino dal pelo nero lucente. Era alto e robusto e aveva  i capelli lunghi legati alla nuca con un nastrino giallo. Indossava una camicia rossa ed un paio di jeans scoloriti e rattoppati in vari punti e calzava dei sandali senza calzini. Sulle spalle portava uno zaino militare.
Si asciugò il sudore con il foulard che aveva intorno al collo ed entrò nella chiesa diroccata, mentre il cane cercò un po’ di refrigerio dietro il muretto.
Alberto riusciva a vedere solo l'ombra dell' uomo, ma capì ugualmente che stava pregando.
Dopo qualche minuto comparve sulla porta, allargò le braccia, appoggiandole sugli stipiti di legno, e guardò a lungo verso il cielo, immobile come una statua. Poi scese i tre scalini, chiamò a sé il cane con un fischio acuto e andò a sedersi sull'erba secca ai piedi di un ulivo, poggiando la testa sullo zaino per stare più comodo.
Il suo riposo ebbe breve durata. Dopo una quindicina di minuti, infatti, si rimise a sedere ed estrasse dallo zaino delle strisce di morbido cuoio, del sottilissimo filo di acciaio, un paio di forbici, un taglierino e delle pinze. Usò  come tavolo da lavoro una pietra a forma di cubo.
Con molta maestrìa e con movimenti abili e veloci tagliò, piegò, intrecciò e infilò, creando dei piccoli capolavori che avrebbe venduto  nei paesi vicini durante i festeggiamenti in onore del santo patrono, che richiamano sempre tanta gente.
Senza fare il minimo rumore per non essere scoperto, Alberto continuava a scrutare furtivamente quell’uomo che tutti giudicavano pericoloso. Voleva penetrare nel suo misterioso mondo per trovare una risposta ai suoi dubbi.
Il barbone lavorò più di un'ora. Poi raccolse con molta cura le sue creazioni e le sistemò nello zaino con il materiale avanzato e gli utensìli usati. Sembrava soddisfatto del suo lavoro.
All'improvviso scattò in piedi con l'agilità di un ventenne e si mise a correre in mezzo agli alberi rincorso dal cane.
<<Forza, Dik,  prendimi!>>
Dopo un lungo slalom, si fermò ansimante per vincere il respiro affannoso, aiutandosi con ampi movimenti delle braccia. Dik lo guardava e scodinzolava. Allora  gli prese le zampe anteriori in mano e lo sollevò da terra.
<>
Soddisfatto del complimento ricevuto, il cane poggiò  le  zampe  sulle   spalle  del  padrone, il  quale si lasciò cadere a terra sotto il peso del mastino. I due intrapresero una lotta  a corpo a corpo, senza limitazione di colpi, sollevando un gran polverone che a tratti nascondeva i due contendenti.
Alberto osservava con ammirazione ed avrebbe voluto essere lì in mezzo a loro ad arrotolarsi nella polvere.
Tutt'a un tratto un rumore alla sua sinistra attirò la sua attenzione.
Furtivamente tre ragazzi si avvicinarono allo zaino del barbone, strisciando come serpenti tra l'erba secca dietro il muretto scalcinato della chiesa. Il più grande lo afferrò e come un gambero iniziarono il cammino a ritroso; ma, prima che potessero dileguarsi, il cane fiutò la loro presenza e partì, con la furia negli occhi, per aggredirli.
<<Fermati, Dik!>> gridò l'uomo. <>
Sordo all'ordine del padrone, il cane continuò l'inseguimento ruggendo e digrignando i denti, per risolvere una volta per sempre la questione tra il suo padrone, troppo buono, e i tanti balordi che continuamente lo provocavano.
<
> gridò più forte l' uomo.
I ragazzi scapparono a gambe levate giù per la collina, seminando sul terreno la refurtiva e lasciando  cadere anche lo zaino. Solo allora il mastino si fermò.
<> gli sussurrò il barbone, stringendoselo al corpo e accarezzandogli la testa. <>.
Ma il cane continuò a ringhiare e a graffiare l'erba con le unghie affilate, insoddisfatto di essere stato fermato. Avrebbe voluto azzannare qualche polpaccio e lasciare il ricordo di una impresa mal riuscita.
<>.
Con molta calma raccolse uno per uno ciondoli, ninnoli e le varie cianfrusaglie; vi soffiò sopra ripetutamente per far cadere la polvere e li rimise con cura nello zaino.
Non era la prima volta che i ragazzi del paese prendevano di mira il barbone. Ma lui non aveva mai reagito alle loro scorribande, sopportandoli con filosofia.
<> confidava sereno al suo cane, guardandolo negli occhi.
<> pensava Alberto, sempre nascosto tra i rami dell'ulivo. <>

*   *   *

Il mattino seguente c'era il mercato in paese e, come ogni giovedì, Alberto uscì di casa di buon'ora. Gli piaceva molto gironzolare con le mani in tasca tra le  bancherelle e curiosare di qua e di là alla ricerca di qualche novità. Si soffermava di tanto in tanto a guardare avidamente la merce esposta con molta cura sui lunghi banchi di legno sotto ampie tende di tela scolorita dalla lunga esposizione alle intemperie.
Prestava molta attenzione soprattutto alle chiacchiere della gente: una miniera sempre ricca di notizie, una vera enciclopedia di sapere spicciolo.
Come al solito si fermò ad osservare le vaschette stracolme di pesci e tartarughine che si dimenavano pazientemente in quello spazio ristretto nell'attesa di cambiare dimora per una sede più comoda.
<> chiese il bancarellaio al fruttivendolo, mentre gli passava un caffè.
<<Già!... Quel figlio di un diavolo...>> e sorseggiò il caffè. <> aggiunse poi, scuotendo la testa. <>.
<>.
<>
<>
Alberto non immaginava neppure lontanamente che stessero parlando del barbone. Incuriosito, però, continuò ad origliare mentre guardava le piccole tartarughe nella vaschetta.
<<Quell'uomo è un pericolo pubblico!>> affermò una signora dall'aria distinta, mentre sceglieva dei grappoli di uva. <>
<<Farà come Santa Chiara che mise le spranghe di ferro a porte e finestre dopo essere stata  derubata>>.
<>
<>.
<<Maurizio?!... Il mastino?!>> rimuginò tra sé Alberto. <>
Voleva esserne certo, perché il giorno prima tra i ragazzacci che avevano tentato di derubare il barbone aveva riconosciuto, dalla sua postazione sull'ulivo, proprio il nipote del macellaio.
<> chiese, intromettendosi nella conversazione.
<>.
<>
<>.
<>.
<>
<> affermò Alberto con una determinazione che lasciò tutti perplessi. <> gridò forte e scappò via tra la gente che si girò incredula alle sue parole. <<E' innocente!... Non lo possono arrestare!... Non lo possono arrestare!>>  

*   *   *

Dopo pranzo Alberto andò in piazza per raccogliere informazioni più attendibili sull' aggressione di cui era accusato il barbone e della quale  egli era stato l'unico testimone oculare.    Girò in lungo ed in largo, fermandosi dove     c' erano capannelli di persone, entrò in tutti i bar, nel supermercato e nel circolo sociale, attivando i suoi sensibilissimi radar per captare gli umori della gente.
Capì che il barbone era in pericolo.
<> ripeteva tra sé. <>.
Sapeva dove trovarlo a quell'ora.
Senza pensarci su due volte, lasciò di corsa la piazza. Fuori dal paese imboccò una stradina  tortuosa e si arrampicò su per la collina, aggredendo la salita con foga quasi animalesca.  Arrivò davanti alla chiesa in men che non si dica, col cuore che gli usciva dal petto per lo sforzo prodotto.
Istintivamente si girò indietro per controllare se fosse stato seguito da qualcuno. Grazie a Dio non c' era nessuno! Solo pietre, ulivi, qualche lucertola e tante cicali ronzanti per l'arsura di agosto. Mentre riprendeva fiato, si girò a guardare il paese nella sottostante pianura con una attenzione mai prestata prima.     Le finestre delle case,  socchiuse per      l' afa pomeridiana, da lontano sembravano  occhi avidi di verità che fissavano la collina per scoprirne la vita e i comignoli sui tetti apparivano come tanti periscopi che scrutavano l' orizzonte in cerca di segreti. Il fischio del treno, che partiva dalla stazione e si allontava velocemente perdendosi tra gli sconfinati noccioleti, lo fece sorridere: sembrava il giocattolo che aveva sempre desiderato. Purtroppo non c' era il tempo per seguirne il viaggio. Lo attendeva un impegno più importante della fantasticheria di un ragazzo.
Si girò giusto in tempo per accorgersi che il mastino dal pelo nero si avvicinava minacciosamente coi suoi passi pesanti, mostrando già le zanne.
Lesto come un gatto, si arrampicò sul più vicino ulivo e da lassù invocò aiuto per attirare         l' attenzione del barbone. L' uomo, infatti, comodamente seduto con la schiena appoggiata al tronco di un ulivo non molto distante, richiamò a sé il cane con un doppio fischio senza scomporsi minimamente e continuò a modellare i fili di ferro e ad intrecciarli artisticamente seguendo modelli imparati a memoria.
<<Ehi! signore>>, fece Alberto con voce sottile e tremante. Ma le sue parole non smossero     l' uomo, il quale finse di ignorare il suo richiamo.
<<Signore!>> provò più forte, agitando anche le braccia. <<Qui, sull' albero>>.
<> chiese l' uomo, alzando lo sguardo verso il ragazzo.
<<Sì... Devo parlarvi>>.
<<Scendi!>>
<>.
<> sorrise il barbone. <>
Alberto scese dall'albero poco convinto;  si avvicinò guardingo ai due e si fermò a distanza di sicurezza, controllando ogni movimento del mastino, il quale cominciò subito a ringhiare e a graffiare l' erba secca con robusti unghioni.
< Il barbone si accorse  che il ragazzo tremava per la presenza di Dik e lo invitò a sedersi alla sua sinistra.
<> cominciò subito Alberto.  <>.
<> si meravigliò l' uomo e sorrise. <<Perché dovrebbero scomodarsi per arrestarmi?... Io non faccio del male a nessuno... E neppure Dik, vero?>> ed accarezzò il mastino lungo la schiena.
<>
<>.
<<Maurizio?!... La pietra insanguinata?!... Ma cosa diavolo vai cianciando, mocciosetto?>> reagì bruscamente il barbone.
<<E' la verità, credetemi!... Vi dico che i carabinieri vi stanno già cercando!... Vi dovete nascondere, finché siete in tempo!>> lo scongiurò Alberto.
<> sentenziò      l' uomo con rabbia.
<>
Dik, intanto, si alzò e cominciò ad annusare prima una gamba del ragazzo, poi le mani, come era solito fare per mostrare la sua amicizia. Alberto, che non comprendeva il significato di questo comportamento, tremava come un topo tra gli artigli di un gatto ed il sudore gli solcava la schiena a rivoli.
<> gli chiese il barbone, tirando a sé il cane.
<>.
<> e gli strinse la mano. <<Perché sei venuto a cercarmi?>>
<>
<<Aiutare?!... E perché mi devi aiutare?>>
<<Perché sei innocente!>>
<>
<<Certo!... Però lo sappiamo solo noi due>>.
Proprio in quel momento Dik si girò verso il sentiero che porta al paese e cominciò a ringhiare sommessamente, avendo fiutato qualcosa di strano.
Giacomo prontamente gli poggiò la mano destra sul capo per rabbonirlo e guardò sospettoso nella stessa direzione.
<<Zitto, Dik!... C'è qualcuno>>.
<<Giacomo, vai via!>> gli disse Alberto. <>
<> precisò, indicando il cane. <>
Ma Giacomo non aveva valutato che la rabbia e l' odio spesso alimentano la forza e spingono         l' uomo a commettere cattiverie inspiegabili. Quando poi si agisce in gruppo si sveglia il ferino che è in noi ed esplode l' istinto animalesco, irrazionale, incontrollabile.
Dopo poco, infatti, vide avvicinarsi una mezza dozzina di persone, dal passo lesto, armate di grossi bastoni.
Alberto corse incontro a quelle furie scatenate per fermarle ed evitare guai più grossi.
<>
<> disse il capobanda e lo scaraventò violentemente a terra per eliminare ogni ostacolo alla sua azione bellicosa.
Giacomo ebbe un attimo di indecisione. Dik no! E partì veloce deciso a ridurre a brandelli colui che aveva colpito il suo giovane amico. Il barbone, allora, raccolse un ramo secco di ulivo tutto contorto, pronto ad affrontare una inevitabile lotta.
<<Dik, non farlo!>> gridò poi con tutte le forze per scongiurare una tragedia.
Il cane, che sempre aveva ubbidito al suo padrone, non si fermò e si slanciò con la sua poderosa mole contro il macellaio, affondando  le zanne bavose nella coscia destra del malcapitato. Ma prima che provocasse danni irreparabili fu colpito ripetutamente dagli altri masnadieri con violente bastonate su tutto il corpo. Giacomo, allora, suo malgrado, fu costretto a usare la violenza, lui che era di indole pacifica.
Il combattimento fu violento, senza esclusione di colpi, uno dei quali sulla spalla, pesantissimo, lo fece cadere in ginocchio tramortito. Alberto si mise le mani sugli  occhi inorridito e cominciò a piangere. Dik era allo stremo delle forze e sanguinava da varie ferite. Ciononostante raccolse le poche energie che gli erano rimaste e nell'ultimo disperato tentativo di salvare il suo padrone riuscì ad afferrare un aggressore alla gola, cadendogli addosso. L' avrebbe voluto strangolare senza pietà!    <<Dik, nooooo!>> urlò disperatamente Giacomo. <<Fermati!... E voi, delinquenti, buttate via i bastoni se volete salvare il vostro amico!>>
Dik allentò la morsa, senza lasciare la preda.
<> li supplicò con insistenza. <>. Poi si rivolse al  cane con parole amorevoli: <>
Gli assalitori si resero conto che non c' era alternativa, se volevano salvare il compagno da sicura morte. Gettarono via i bastoni e indietreggiarono di qualche metro. Dik seguiva ogni loro movimento con estrema attenzione e quando capì che non c'era più alcun pericolo per Alberto e per il suo padrone lasciò la preda e permise che venisse soccorsa. Giacomo, pur stremato per le percosse, afferrò il collare del cane e lo trattenne con fermezza.
<> minacciò il più giovane.
<> fece un altro con molta rabbia.
Dik, allora, avanzò di qualche passo, trascinandosi dietro il padrone, e fece sentire ancora una volta la sua voce possente per ricordare la sua presenza.

*   *   *


Giacomo lasciò il cane e si avvicinò ad Alberto rimasto a terra impaurito. Gli accarezzò i capelli con l' affetto di un padre, senza dire una parola; poi lo prese in braccio e si avviò per il sentiero roccioso lasciandosi alle spalle l' Eremo diroccato. Dik li seguiva come un'ombra, lamentandosi per il dolore con un brontolio a denti stretti.
<>
Alberto scrollò le spalle ammutolito.
Camminarono per una quindicina di minuti, seguendo un viottolo polveroso fino ad arrivare in un vallone profondo ricoperto di rovi spinosi, dove c' era una polla d' acqua fresca, quasi sempre secca per tutto il periodo estivo.
Giacomo depose il ragazzo su una pietra coperta di muschio e si asciugò il sudore con il dorso delle mani. Poi cacciò dallo zaino un bicchiere di alluminio e lo poggiò a terra per raccogliere le poche gocce di acqua che sgorgavano dalla roccia.
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<>
<> mormorò Giacomo, mentre raccoglieva delle grosse more di cui era ricco il roveto. <>  disse  e le offrì al giovane amico con l'acqua raccolta. Poi ne prese altre per sé e per Dik che, nel frattempo, stava dissetandosi nel rivoletto prima che venisse risucchiato dal terreno arido. Andò, quindi, a sedersi anch' egli su un sasso, proprio di fronte ad Alberto.
<>
<> continuò, <>.
<<Bravo!... Avevo un osservatore speciale e non me ne sono accorto!>>
<>
<<Ah! Ah! Ah! Questa è proprio bella!>> sorrise divertito Giacomo. <>
<>
<<Sì!>> rispose il barbone con voce cupa, imitando un vero licantropo. <>. E scoppiò in una prolungata risata per rassicurare Alberto che era diventato piccolo piccolo e bianco in volto. <>
<> scherzò il ragazzo. <>.
<> gli confidò Giacomo. Poi raccolse altra acqua e la condivise con il ragazzo, per mitigare l'arsura della gola. <>
Alberto si sentì percorrere da un brivido di gioia all' idea di poter essere di aiuto all'amico.
<<Comanda!>> disse emozionatissimo, scattando sull' attenti come un vero soldato. <>
Giacomo sorrise meravigliato di tanta prontezza.
<> puntualizzò, tirando a sé il ragazzo e facendolo sedere sulla gamba sinistra, <>
<<Sì!>>
<>.
<<Sarò puntualissimo! Puoi esserne certo... E se ho bisogno di vederti prima, dove ti troverò?>> chiese Alberto.
<<Qui, sulla collina. Questa volta non sfuggirai al fiuto di Dik>> ed accarezzò il cane amorevolmente.

*   *   *

Seduto sul muretto dell' aiuola davanti al bar Centrale sempre affollato dopo le sette, Alberto vigilava attentamente per adempiere la sua missione.
Giacomo non si era proprio sbagliato. In paese non si parlava d'altro. E con molta rabbia! La gente  nutriva un odio profondo per quell'uomo che aveva scelto di vivere ignorando le più elementari consuetudini di una comunità: avere una dimora fissa, un lavoro, una famiglia, degli amici. Si temeva anche che potesse essere un esempio negativo per i giovani che si lasciano facilmente affascinare da una vita libera e spensierata al di fuori delle regole convenzionali che spesso, in verità, imbrigliano il pensiero.
<> chiese la guardia municipale, di servizio in piazza, al parroco che era appena sceso dal treno.
<<E' fuori pericolo, per grazia di Dio!... Almeno così mi hanno assicurato in ospedale>>.
<>
<> concluse allontanandosi.
<> esclamò Alberto tra sé e sé, battendosi un colpo sulla fronte con il palmo della mano sinistra. <>
Si alzò prontamente e corse dietro al parroco nel vicolo che portava alla canonica. Lo seguì come un' ombra per un lungo tratto di strada, poi si avvicinò, lo salutò e lo superò senza fermarsi.  Era indeciso se parlargli per strada o chiedergli di entrare in casa. Optò per la seconda soluzione e aspettò che il prete suonasse il citofono per farsi aprire dalla vecchia zia.
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<>
Prima che si richiudesse la porta, il ragazzo lo chiamò con un fil di voce e, quando don Pierino si girò,  chiese timidamente di entrare.
<<Alberto, cosa c' è?... Vieni!>>
Lo portò nello studio in fondo ad un corridoio stretto e lungo.
<<Siediti! Io torno subito>> ed uscì con passo lesto, dileguandosi nella penombra.
<> esclamò meravigliato Alberto, ammirando la ricchissima biblioteca sulla parete lunga di fronte alla scrivania. <>
Nell' attesa curiosò per la stanza, camminando sulle punte dei piedi. Prese un librone, soffiò la polvere  posata sul taglio e lo aprì. Era scritto in latino. Lo rimise a posto accuratamente e si avvicinò ad un enorme crocifisso di legno. Fissò a lungo il viso sofferente di Gesù e notò subito una somiglianza con quello del suo amico. Soprattutto gli occhi azzurri e profondi.
<> pensò.
L' esplorazione fu interrotta dall'arrivo del parroco che andò a sedersi sulla poltrona di pelle.
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<> chiese perplesso don Pierino.
< C'era Mario il macellaio, lo zio di Maurizio, ... c' era suo cugino Stefano con il fratello, quello con la pancia grossa,... poi Andrea il cantoniere, il padre di Michele il fruttivendolo e altri due che conosco solo di vista>>.
<> tuonò il parroco, saltando dalla poltrona.
<> disse Alberto amareggiato. <> e si alzò per andar via. <>.
Don Pierino lo afferrò per un braccio e lo trattenne con forza sulla porta dello studio.
<<Fermati!... E dimmi cosa è successo oggi. Io non ho capito niente!>>
Così Alberto tornò a sedersi e raccontò per filo e per segno tutto ciò che aveva visto nei due giorni.
<> sussurrò il parroco. <<Alberto, hai fatto bene a venire da me. Non ti preoccupare: ci sarà giustizia per il tuo amico. Parola mia!... Ora andrò immediatamente a casa di Luca - che abita qui vicino - e gli farò confessare la verità in presenza dei genitori. Poi parlerò anche con il maresciallo Vassallo che sta seguendo questo caso e gli riferirò tutto ciò che mi hai raccontato>>.
Don Pierino prese sottobraccio il ragazzo e lo accompagnò alla porta.
<>.
<<Grazie, don Pierino. Io lo sapevo che potevo contare su di voi>>.

*   *   *

Dopo la misera cena, la madre uscì come ogni sera per il suo lavoro notturno in una pizzeria. Non sarebbe tornata prima dell'una o delle due, con tutta la gente che frequenta i locali  pubblici, ad Agosto, per tutta la notte.     
Alberto aveva tutto il tempo per agire. Di corsa andò a bussare alla canonica e chiese di entrare. Fortunatamente il parroco era già tornato.
<>
<> lo interruppe il parroco per tranquillizzarlo. < <<Giacomo!... Giacomo!>> chiamò con       l' ultimo residuo di energie. <<Dik!... Dik!... Dove siete?>>
Passo dopo passo la corsa iniziale si tramutò in un lento procedere, con soste continue necessarie per riprendere fiato. Il buio ormai era completo, ma la luce della luna filtrava attraverso i rami frondosi degli ulivi e, come una madre premurosa, indicava ad Alberto il sentiero che portava ai ruderi dell' Eremo.
<<Giacomo!... Dik!>> continuava il ragazzo, senza ricevere risposta.
Si fermò davanti alla chiesa illuminata dalla luna e d'istinto guardò la Madonna dipinta su piastrelle ceramicate in una nicchia di poco al di sopra del portale. Dolce e materno era il Suo sguardo e sembrava fissarlo con una intensità così forte come nessuno mai lo aveva fatto prima di allora, se non sua madre! Affascinato  da quegli occhi profondi e dal  sorriso radioso, si incantò ad ammirare la Vergine Maria che gli trasmetteva  un senso di immenso piacere, di serenità, e per un attimo dimenticò la paura del buio e lo scopo della sua missione.
<<E' molto bella, vero?>> gli disse Giacomo (che nel frattempo si era avvicinato senza fare il minimo rumore), poggiandogli una mano sulla spalla.
Alberto sobbalzò per la paura!
<>
<>.
Il mastino, scodinzolando e ancora zoppicante, leccò le mani ad Alberto per esprimergli la gioia che provava nel rivederlo.
<<Vieni!>>
Giacomo lo strinse a sé e lo portò a sedere sul muretto che delimitava la piazzetta della chiesa. Dik si adagiò alle loro spalle, insinuando la testa tra i due come meglio poteva.
Splendido era il colpo d'occhio sul paese sotto stante trapunto di luci e sull'immensa pianura che si estendeva fino all'orizzonte con uno straordinario  gioco di colori notturni.
< Come un fiume in piena che esce dagli argini e travolge i campi senza nessuna possibilità di contrastarne la furia, così Alberto raccontò con molta foga e in ogni minimo particolare del suo doppio incontro con don Pierino.
<> lo elogiò Giacomo, meravigliato della sua intraprendenza. <>
Il cane mosse varie volte la coda sul terreno e strofinò la testa contro la coscia del ragazzo.
<>
<<No!>> rispose seccamente Alberto.
<<Perché?>>
<<Perché non mi piace studiare!>> aggiunse senza infingimenti.
<>
<<No!... Anzi è contenta quando non vado a scuola! Sapessi quante volte mi dice strillando: ""Non venire a scuola, se non hai voglia di studiare!""... Ed io l' accontento spesso, specialmente quando è bel tempo o quando non faccio i compiti>>.
<>
<>
<>
<> aggiunse, mentre una lacrima solcava il suo viso. <<Giacomo, è bello avere un padre?... Tu ce l' hai?>>
<> rispose l'amico, carezzandogli affettuosamente i capelli. <>
Alberto seguiva con molta attenzione le parole dell' amico.
<>, continuò Giacomo, pescando nei suoi ricordi. <>
<>
<>
<>
<<Sì... Il ricordo dei momenti più belli vissuti con lui mi danno sempre tanta forza, quando mi prende la malinconia o mi assale la solitudine, specialmente durante le lunghe sere d' inverno>>.
<<Perché non ti sei sposato?>>
<>.
<>.
<>.
<> lo incalzò il ragazzo, preso dal colloquio  così avvincente.
<>.
<>
<>.
<>
<<Bravo, Alberto!... Meglio liberi... come gli animali, liberi e più ricchi: padroni del cielo, padroni del mare, padroni dell'erba, degli alberi, dei boschi, dei monti, padroni di tutto... e di niente>>.
<<Così non devi temere neppure i ladri>> aggiunse il ragazzo che si lasciava ammaliare dalle parole dell' amico.
<<Certo!... Chi vuoi che venga a rubare ciò che non hai?... Se non dei ragazzini, più per gioco che per malizia?... E poi, sapessi come è bello vivere senza una dimora fissa e volare come una farfalla da un fiore  all' altro... Come è brutto invecchiare sempre tra le stesse mura, a meno che non ci sia con te qualche persona cara che ogni giorno con il suo amore ti rende più bella la prigionìa... Io sono come un uccello: oggi qua, domani là>>.
<<Però l' uccello torna sempre al suo nido!>> precisò Alberto. <>.
<<Anch' io torno sempre quassù, in questo luogo di pace. Per mia fortuna quelli del paese non sanno apprezzare questa loro ricchezza ed io posso godermela da solo!>>
<>.
<> e gliela indicò con precisione.
<<L' orologio sul municipio>>.
<>
<>.
<>
<>
<> gridò all' improvviso Alberto, tutto eccitato. <>
<<Su, esprimi un desiderio>>.
< <>
<>
Il cane scodinzolò per dare la sua approvazione. <>.
Dik fu il primo ad alzarsi. Alberto diede la mano a Giacomo e guardò ancora una volta la Vergine Maria. Poi i tre si avviarono per il sentiero tra gli ulivi, illuminato dalla luna piena, vera signora quella sera del cielo stellato.
(Maggio 1993)