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Pozzino


Era il giorno di Santa Filomena. Stavo aiutando mio padre a tirare sul tetto i sacchi di nocciuole, dopo una lunga giornata di lavoro passata con la schiena ricurva sui solchi.
Ad un tratto captai una voce quasi impercettibile. Mi fermai per un attimo, lasciando il sacco sospeso nell'aria, ed acuìi l'udito. Niente. Pensai allora che fosse stato il cigolìo della carrucola e continuai a lavorare di gran lena, perché dovevo andare con gli amici a Mugnano per la festa.
Dopo un po' divenne più chiara la voce di prima ed ebbi la sensazione che fosse un miagolìo lamentevole. Mi incuriosìi. Passai allora la corda a mio fratello  e cominciai ad indagare, per localizzare la provenienza del suono.
Dal tetto mio padre mi ripeteva con insistenza che era lo stidore della carrucola. Io non ne ero convinto e continuai a cercare. Girai in lungo e in largo per il cortile e, quando arrivai vicino alla cisterna, quel benedetto suono si tramutò in chiaro miagolìo. C'era un gatto lì dentro!
“Come diavolo avrà fatto?” mi chiesi. “Laggiù in fondo al pozzo ci sono solo tanti sassi ed ora sarà anche ferito!”
Scoperchiai la cisterna, senza perdere altro tempo: ogni minuto poteva essere fatale per la povera bestia. Ora il miagolìo si percepiva in tutta la drammatica invocazione di aiuto! Chi sa da quanto tempo lanciava il suo disperato s.o.s. che nessuno aveva intercettato!
“In gamba, micetto, in gamba!” gridavo per dargli coraggio. “Fra poco sarai salvo!” Poi chiamai mio padre: “Ehi, papà, hai visto? E' un gatto... Sta in fondo al pozzo!”
“Non ti preoccupare. Lì sta al fresco!” sottolineò ridendo. Poi, intuendo le mie intenzioni, aggiunse: “Come pensi di prenderlo?... Il pozzo è profondo!”
“Troverò il modo. Non ti preoccupare!”
Andai in casa a prendere la pila; la legai ad una lunga corda e la calai nella cisterna. La feci roteare in larghi giri per l'ampia volta fino a localizzare il gatto. Era proprio mal ridotto: piccolo, spelacchiato, bagnato e mezzo morto! Barcollava vistosamente e a stento riusciva ad alzare la testa verso l'imboccatura della cisterna.
“Come fare per recuperarlo?” mi chiedevo perplesso. “E' rischioso scendere nel pozzo!
Intanto arrivò mia madre dalla campagna e le raccontai subito del gattino.
“Povera bestia!” mi disse. “Per tutto il giorno è stata maltrattata da Gerardo e da quegli altri fetentoni. Prima si sono divertiti a  tirarle i peli e a farle fare mille acrobazie afferrandola per la coda; poi l'hanno messa in ammollo nella bacinella per più di un'ora e quando si sono stancati l'hanno buttata nel pozzo mezza morta... Sta laggiù da oggi pomeriggio... Non c'è stato modo di farli smettere!!!”
Dopo il racconto di mia madre, a maggior ragione dovevo salvare l'animaletto.
Ebbi un'idea straordinaria! Presi una corda ed una cassetta della frutta e preparai una scialuppa di salvataggio con la pila sistemata per bene all'esterno e la calai nella cisterna. Quando giunse a pochi centimetri dal fondo, la feci girare intorno alle pietre e, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, la lasciai cadere a mezzo metro dal gattino.
“Dai, micetto, forza!” lo incitavo a viva voce. “Dai, salta nella cassetta... da bravo!”
Ero sicuro che avrebbe capito cosa doveva fare per sottrarsi ad una morte inevitabile. Lo spirito di conservazione e la forza della disperazione sicuramente gli avrebbero indicato la strada della salvezza.
“Dai, forza!” continuavo con insistenza a gridargli.
“Dai, forza!... Dai, forza!... Dai, forza!” ripeteva l'eco. “Se vuoi venire fuori, devi collaborare!”
Dopo i ripetuti incitamenti, il gattino cominciò a muovere i primi passi, attirato anche dalla luce e dal calore della pila. Barcollava come un cucciolo appena nato!
“Forza!... Così!... Bene!... Dai che è fatta!”
Ero contento per lo sforzo che stava producendo per salvarsi. Mi sembrava che il gattino capisse i miei incitamenti. Concentrò tutte le forze e riuscì ad arrivare nei pressi della cassetta. Ma si fermò sfinito! Non aveva più un briciolo di forza o non sapeva cosa fare?
Passarono lunghi minuti che mi tenevano col fiato sospeso in gola.
Tra un sacco e l'altro mio padre seguiva dal tetto l'operazione di salvataggio.
“Dobbiamo telefonare ai pompieri?” disse scherzando.
Finalmente il gattino si aggrappò alla cassetta con le zampette anteriori e vi saltò dentro. Chi sa se lo aveva attirato di più il calore della pila o la consapevolezza che quella era l'unica possibilità per venir fuori dalla cisterna.
Prima che il gattino potesse ripensarci, immediatamente cominciai a tirar su la scialuppa, però con molta lentezza, perchè pendeva pericolosamente da un lato e la bestiola poteva ricadere giù!  Ma il desiderio di continuare a vivere lo trattenne saldamente attaccato alla vita. E arrivò su sano e salvo!
Superato l'incubo della morte che aveva certamente considerata inevitabile, il gattino mi guardò negli occhi a lungo e in quello sguardo profondo capìi la sua voglia di ringraziarmi. Il cuore mi batteva come un tamburo per la gioia e l'emozione insieme. Lanciai uno sguardo di soddisfazione a mio padre che alzò i pugni al cielo in segno di vittoria!
Nel frattempo, uno alla volta si erano avvicinati alla cisterna i monellacci che avevano così malamente bistrattato il povero gattino. Con la testa abbassata e lo sguardo aggrottato chiedevano perdono, consapevoli di quanto male avessero fatto e felici per il successo del salvataggio.
Quando il gattino saltò fuori dalla cassetta e cominciò a muovere i primi passi nel cortile, i ragazzi non riuscirono a trattenere gli applausi e un formidabile “Hip! Hip! Hip!... Urrà!”
Solo allora mi accorsi che Tommaso si era fermato con in mano il rastrello di legno ed il setaccio e mia madre aveva asciugato dieci volte lo stesso piatto per seguire la parte finale dell'operazione.

°     °     °

Il gattino era completamente inzuppato fradicio e tremava dal freddo. Ora bisognava prodigargli tutte le cure necessarie per metterlo in condizione di sopravvivere. Andai in casa a prendere un panno di lana e glielo avvolsi intorno per riscaldarlo. Antonino portò l'asciugacapelli e gli soffiò aria calda sul corpo. Il gattino si sentì subito meglio e cominciò a a muoversi con maggiore stabilità. Stefanuccio, invece, mi portò un pettine e si mise ad accarezzare l'animaletto, il quale, vistosi prodigare tante cure, cominciò a leccarci le mani e a spingere la testolina contro le nostre gambe.
“Ragazzi, andate a prendere un po’ di latte.”
Gerardo corse nella salumeria della madre e tornò con una confezione di latte intero da mezzo litro. Ne versò un po' nel palmo della mano e lo offrì al micetto che lo divorò in men che non si dica. I ragazzi allora portarono un piatto fondo nel quale versammo il latte per sfamarlo a sazietà. Poi tutti intorno ad ammirarlo!
“Uh! Guardate; ha il pipetto! E' un maschietto!” disse Gianni.
Pago di tanto affetto e ben pettinato, ora sembrava un vero damerino.
“Zio, perché non gli troviamo un nome?” chiese Antonino.
“E' una buona idea!... Forza, spremete il cervello!”
Coniarono i nomi più stravaganti. Alla fine piacque maggiormente “POZZINO”. Sì, Pozzino andava proprio bene: "salvato dal pozzo"! Tutti in coro, allora, Gerardo, Giuseppe, Gianni, Antonino, Stefanuccio, Carolina e Chiara esultarono inneggiando al gattino: “Per Pozzino, hip! hip! hip!... urrà!”

°     °     °
Tenni in casa Pozzino per qualche settimana. Una mattina non lo trovai più. Lo cercai invano per tutto il quartiere.
Dopo circa un mese, venni a sapere che l'avevano preso dei ragazzi e che lo sottoponevano a nuovi strazi per dare sfogo al loro piacere. Decisi allora di andare a riprendermelo.
Quando arrivai sulla strada statale, Pozzino avvertì la mia presenza. Per un attimo il suo sguardo pieno di paura si incrociò con il mio. Ma, ahimé!, ebbi solo il tempo di vederlo sfuggire dalle mani di un ragazzo per essere travolto da un autotreno mentre cercava di raggiungermi! Di lui rimase solo una poltiglia rossa!
Chiusi  gli occhi e mi pietrificai! Non ebbi il coraggio di guardarlo appiccicato sull'asfalto, pronto per essere schiacciato da altre ruote. Lanciai un'occhiataccia ai ragazzi che intanto si erano dati alla fuga a gambe levate e me ne tornai a casa con tanta rabbia in corpo!
Povero Pozzino!