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Per lunghi anni il ritmo della vita dei Vesuni è stato scandito dagli artigiani e dai contadini. Al sorgere del sole tutti giù dal letto per l’opera del giorno. La strada si animava come un formicaio. Grandi e piccoli, uomini e bestie, tutti al lavoro; ad ognuno un compito preciso. Il più vecchio era sempre il primo a rompere il silenzio dell'alba con regolare abitudine. Puntualmente nella stalla rintronava un lungo e sgradevole raglio che echeggiava per tutto il cortile, dando il segnale di inizio a un simpatico concerto di voci che gareggiavano per mostrare tutta la potenza delle corde vocali o la ricchezza delle modulazioni. Cominciavano i cani ad abbaiare isolatamente, per continuare poi tutt’insieme a latrare  in un crescendo festoso. Le galline bezzicavano semi e insetti con aspri coccodè, mentre il maiale grufolava in terra in cerca di cibo grugnendo con sgradevole voce. Le oche, con la solita goffa andatura anserìna, delimitavano il loro territorio schiamazzando ininterrottamente e rincorrevano gli sfortunati invasori pizzicandoli inesorabilmente e mettendoli in fuga con forti gemiti. Su tutte alti si levavano i prolungati chicchirichì dei galli dall’ugola d’oro che si rincorrevano  di pollaio in pollaio fino a perdersi dietro l’ultima casa del quartiere. A quel punto, infastidite e scorbellate, le vacche mettevano tutti a tacere con muggiti eloquenti. Ma il silenzio durava pochi attimi! La musica riprendeva come sempre e con più gagliardìa, mentre i contadini partivano per la campagna con gli asini e i carretti, quasi seguendo le istruzioni scritte in un virtuale libro dalle generazioni precedenti.
Uno di questi era Antonio Montella di Angelantonio, Ntonio ‘o Luongo, nato a Baiano il 22.9.1914 e partito per ricongiungersi con gli angeli il 4.4.2003. Fin da piccolo, esattamente come tanti altri, seguì le orme del padre e fu contadino. Contadino con la voglia ed il piacere di seguire gli studi che le possibilità economiche della famiglia gli permettevano! Instancabile lavoratore fino a quando, sposo di Maria Napolitano di Avella e fresco padre di un bambino di pochi mesi, fu “trascinato” tra le sabbie dell’Africa a combattere una guerra che certamente né lui né i suoi compaesani sentivano e volevano. Consegnò alla patria, sottraendoli alla fresca sposa e al primogenito, i suoi sogni di giovane pieno di vitalità, le sue energie e la sua forza fisica che avrebbe voluto dare al lavoro, alla sua campagna. Sei lunghi anni tra l’Africa ed il campo di concentramento in Inghilterra.  Grazie al suo equilibrio (peculiarità tipica dei contadini) portò a casa la pelle e una valigia di legno ricca di nuovi valori, rafforzati dalla sofferenza e dalla lontananza dagli affetti più cari. Riprese la sua vita tra i Vesuni, la campagna e la piazza, lavorando con il sole e la pioggia, dall’alba al tramonto.
E come tanti contadini, pur di garantire più benessere ai figli, andando a scavare le patate nelle terre di Cicciano. Con la bicicletta! Pedalando in salita dopo una lunga e faticosa giornata sotto il sole! Il lavoro non ha mai spaventato la gente dei Vesuni, forgiata dalla sana e robusta civiltà contadina! Se il lavoro è sofferenza fisica, Antonio ‘o Luongo, zì Vitillo ‘o Paccione, Mimì ‘e Lione, Peppe d’ ‘a Segatore, Gioacchino ‘o Ciamarro, Nicola d’ ‘o Sorice, Stefano ‘o Tuppillo, Ntonio ‘e Nufrio, Mimì ‘o Pisciato, Peppe ‘e Santulone, e tanti altri certamente di pari dignità, lo rendevano più umano e accettabile, formando squadre di amici che si scambiavano prestazioni d’opera e vincevano la solitudine  collaborando nel corso dell’anno, quando si zappava (dandosi la voce da lontano con simpatiche filastrocche popolari che echeggiavano tra i campi), si seminava, si “scognavano” i fagioili con il “vavillo”, si piantavano nuovi alberi, si abbacchiavano le noci, si raccoglieva il grano ed il granturco e di sera si “sverzavano” le pannocchie.
Spesso era una festa, soprattutto per i più piccoli e, per gli adolescenti, un’occasione per lanciare i primi sguardi maliziosi. Si mangiavano castagne, patate cotte sotto la brace e la cenere, spighe e pizze di granturco; e tra il racconto di fatti di vita quotidiana e stornellate le persone del vicinato o dei cortili si aggregavano e vivevano di vera solidarietà, tutti figli di un’unica famiglia: il quartiere! Nascevano amori. Si formavano nuove famiglie. Così si rimaneva nei Vesuni, oasi di pace per chi sapeva apprezzare i valori della gente semplice, pronta ad aiutare il vicino di casa in difficoltà.
E nei Vesuni Antonio Montella, come gli altri, fu attore e spettatore del boom economico, della “modernizzazione” della società; vide crescere e migliorare i figli, ai quali garantì tutto il benessere di cui fu capace; li mandò a scuola, li vide sposi e padri e ne fu felice, mentre egli continuava ad andare in campagna con il carretto e, negli ultimi anni, con la sua inseparabile bicicletta. Fiero ed orgoglioso di ciò che era stato ed era ed aveva fatto. E fu uomo di valore, dalla fede incrollabile in Santo Stefano, l’Unico capace di sottrarlo al lavoro dei campi tre volte all'anno per le processioni; mai piegato o scoraggiato dalle disgrazie o dalle difficoltà economiche, che affrontava sempre con grande dignità e sempre a testa alta. Neppure la perdita della sua adorata moglie spezzò la sua forte fibra! Sempre pronto a donare agli altri senza mai chiedere niente in cambio e ad offrire con generosità i frutti della terra. “Verranno tempi migliori!” era solito dire, lui umile contadino seguendo la saggezza dei suoi simili, per guardare al futuro e dimenticare la miseria del presente.Un patrimonio per la comunità baianese. La sua esistenza quasi secolare e quella degli altri anziani del centro storico (scrigni pieni di vita vissuta!) certamente dovrebbero essere di esempio per le nuove generazioni desiderose di dissetarsi alla fonte della loro esperienza per progettare un percorso di vita capace di  garantire successo e il raggiungimento di traguardi impossibili.
Ad Antonio Montella Baiano rese il giusto omaggio il giorno dell’ultimo viaggio verso una nuova vita, quella eterna, accompagnandolo per le strade del paese con le note di inni patriottici e con il vibrante “silenzio” che una tromba gli suonò davanti al monumento dei caduti.

(Aprile 2007)