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di Giuseppe Bianco 

La Storia esiste solo se c’è qualcuno che la racconta per tramandarla. L’opera “Gli Indimenticabili”  di Carmine Montella, scrittore fecondo e versatile, rappresenta il pregevole compimento di una ricerca antropologica  condotta con approccio ermeneutico e rigore storiografico, esplorando, con la caparbietà e la missione visionaria dell’archeologo, lo spaccato verticale della storia civile di Baiano sua città natale. Montella ne ha tratto una stratigrafia antologica dei personaggi illustri ed a volte negletti che hanno costellato il progresso civile e sociale della comunità, sottraendola definitivamente alla deriva della memoria transeunte. Il vasto lavoro monografico di divulgazione si aggiunge alla cospicua produzione storico-letteraria che l’'autore ha dedicato finora alla sua amata Terra.

C’è un legame profondo tra Montella ed il composito universo nativo baianese, inverato senza soluzione di continuità dalla produzione di opere documentaristiche che, con il ritmo serrato e vigile dello storyteller, ha dato alle stampe dagli anni settanta ai giorni nostri. Un caleidoscopio musivo declinato, di volta in volta, in chiave etnografica, narrativa, poetica, giornalistica. Un affresco che reca con dovizia di particolari i colori delle stagioni e dell’anima della sua comunità, osservata talora in prospettiva asincrona, altre volte da testimone del presente. 

La narrazione de “Gli Indimenticabili” sgorga come polla, fluisce non già da empito di nostalgica regressione ad un “ineffabile tempo che fu”, bensì da insopprimibile spinta civile tesa a ricostruire e preservare, forse  in limine, il patrimonio socio-culturale della collettività di appartenenza, questa volta oggettivata con un focus posto sulle note biografiche dei figli più degni a partire dall’inizio dell’Ottocento.

Emerge cristallino nell’intentio auctoris l’affermazione del valore universale della cultura come elemento di fertilità riconducibile all’Estetica crociana e posta in armonia con le verdi zolle dell’Irpinia. Traspare, nell’azione proattiva del Montella, la traiettoria epistemologica che la conoscenza consolidata costruisce in progressione sé stessa lungo un percorso di verità.

Di vaga fera le vestige sparse/Cercai per poggi solitarii et ermi (F. Petrarca), parimenti, Montella, nell'azione di ricerca e di ricostruzione delle biografie, partendo da epoche lontane, ha aggregato ed incrociato le più disparate fonti d'informazioni per confermare l'attendibilità di dati, fatti e circostanze. Talora, seguendo spasmodicamente la luce debole di sfuocate reminescenze personali o della tradizione orale, altre volte inerpicandosi per sentieri inusitati ove rinvenire tracce di vita reale di personaggi ormai assorbiti dalla notte dei tempi.

Montella ha sondato tutto il sondabile  fino a spingersi all'estremo limite del silenzio delle fonti, riscontrando i tomi ingialliti dell'Anagrafe comunale; le biblioteche e  le emeroteche; le opere edite; i documenti originali e gli epistolari usciti temporaneamente per consultazione dalla sacralità privata delle teche di eredi o di custodi familiari.

L'excursus diacronico di Montella ha il pregio inestimabile d'aver dissepolto  dalle visceri del tempo le gemme antropologiche più rappresentative della madre Terra di Baiano su cui si era stratificata fatalmente la coltre cinerea dell'indifferenza. Elementi preziosi di un giacimento socio-culturale restituiti alla luce imperitura del rispetto loro dovuto, che nell'insieme conformano la prima mappa concettuale di valori identitari da condividere con le future generazioni.

Montella, con il suo defatigante ed impagabile impegno, non scevro da sacrifici personali, rilancia alla tematica pasoliniana  che esorta le comunità locali a preservare le proprie radici, traendone nel contempo linfa vivificatrice da tramandare, onde resistere alle bieche forme di colonizzazioni dell'incultura e dell'omologazione planetaria livellante promossa da dominanti interessi materiali. Quanto basta per difendere soprattutto residue quote di quella libertà conquistata con forte autodeterminazione ed a caro prezzo dai nostri padri, ancorché minacciata da tempo dal corrosivo nichilismo etico-sociale tendente alla pervasività.

Bisogna coltivare l'utopia,  come affermava Ernesto Guevara,  "perché un popolo senza utopie é un popolo senza futuro". In questa direzione Montella, fuori delle ideologie politiche e da intellettuale compie motu proprio un salto quantico portandosi oltre le orbite su cui viaggiano le rassegnate canizie dei riduzionisti di censo del suo ambiente e persegue senza moralismo predicatorio il verso di una direttrice decisa che porti fuori dal rischio d'imbarbarimento dei costumi e delle tradizioni. Egli, operando a tutto campo, libera energie centrifughe soprattutto a beneficio dei più giovani e di coloro che aspirano allo sviluppo di una personalità consapevole.

Un presidio, quello di Montella, fortificante contro la minaccia dei freddi inverni della cultura in cui paradossalmente trovano migliore innesco gli incendi della follia virale di massa una volta dissipate le difese  immunitarie della società civile acquisite all'esito di tragici cicli storici di un passato non lontano. Inverni e segnali prodromici che da tempo hanno smesso di bussare alle porte delle società postindustriali ed ormai, con sofisticata protervia, irrompono nel clima delle nostre vite con spinte di populismo antisistema. Un codice riconoscibile in nuce solo da chi mantiene contezza e riesce a rapportare la cronaca alla storia, e perché no, alle tragedie planetarie più recenti.

Torna d'attualità, quindi, la sintesi storiografica di Benedetto Croce che punta a rendere intellegibili avvenimenti per colmare la distanza tra cronaca (historia rerum gestarum) e storia (historia res gestae),  rendendo quest'ultima, mai del tutto passata e sempre contemporanea a chi la indaga. Ci si interessa e si scrive di storia per un bisogno gnoseologico utile alla ricerca di risposte ad interrogativi e tematiche complesse poste dal presente.

 Infine, nel completare la summa biografica in parola, la sensibilità di Montella approda riconoscente al sublime tributo di vite locali cadute in armi nei due ultimi conflitti mondiali. Tanti i caduti ricordati in elenco. Martiri di un destino crudele che hanno diritto alla gloria perenne. Un riconoscimento da inverare senza cedimenti  onorando il nostro debito ed il loro lascito di libertà democratiche poste a fondamenta della nazione. Quei nomi evocano il martirio inferto anche al popolo di Baiano che si rese artefice del proprio destino, ispirato a valori  universali di libertà e di giustizia sociale. Di essi spesso non resta che un ordinato elenco di nomi apposti sui cenotafi  urbani, che nell'algore litico non rendono abbastanza la drammaticità di quelle esistenze recise nel fiore degli anni, unitamente al dolore degli affetti rimasti orfani.

Nell'epitome trasversale al tempo Montella si guarda bene dal proiettare tout court l'esistenza dei suoi biografati verso l'universale. Per converso, con aspirazione crociana, egli attinge ed eleva ciò che di universale ci fu nel pensiero o nelle azioni di ciascuno dei suoi concittadini.

Spes contra spem é il motto di chi sa farsi speranza per gli altri, alternativo a quanti chiedono che la speranza si manifesti loro. Questo è l'atteggiamento indomito di colui che coltiva la fede incrollabile in un futuro migliore e per questo ideale spende con umiltà le proprie energie senza misurarle e senza chiedere contropartite. Così Montella, all'impietoso vortice iconoclasta promosso da una società liquida e totalizzante, priva di riferimenti valoriali e che fa strame della memoria storica, oppone con "Gli Indimenticabili" il suo correlativo totemistico: un arco ideale ed istoriato, che egli erge a tutto sesto in pietra sbozzata. Una costruzione narrativa, alata e connotativa da porre sul sentiero ancestrale di accesso alla madre Terra. Fondamento simbolico della coesione di comunità invocata come speranza per il futuro. Un'espressione architettonica austera che evolve nel fluire diacronico, che vince la gravità con l'interazione del sapere costruttivo rappresentato dai conci, ciascuno consustanziato ai rievocati spiriti nobili di Baiano. Un arco che porta allo zenit la verticalità della "chiave" su cui è istoriata la bellezza del "Cervo del bosco di Arciano".